Aut aut di Berlusconi: fiducia o voto a dicembre

RomaÈ partito il conto alla rovescia. Con Berlusconi che mette nero su bianco i cinque punti programmatici su cui il governo chiederà una nuova fiducia in Parlamento e il presidente dei deputati Fli Bocchino lesto a dire che il voto favorevole dei finiani è «scontato». Il solito gioco del cerino che va avanti da mesi, con la truppa dell’ex leader di An pronta alla guerriglia ma abile nel evitare che le vengano addebitate le responsabilità della rottura. Ed è per questo che quasi in tempo reale Bocchino fa sapere che la fiducia è scontata, per cercare di allontanare il fantasma di un Fini guastatore della legislatura.
Chi ha preso parte alle sei ore di vertice a Palazzo Grazioli è però dell’idea che il countdown sia scattato. Percezione opposta a quella che si ha al piano nobile di Montecitorio dove l’esito del summit viene letto come un deciso passo indietro del Cavaliere. D’altra parte, Fini ironizzava sullo scio’ daun (così negli sms che si scambiavano i finiani in quei giorni) ancora dodici ore prima dell’ufficio di presidenza del Pdl che l’ha poi messo fuori dal partito, convinto che mai Berlusconi sarebbe arrivato a tanto. In quanto a previsioni, insomma, l’ex leader di An non pare infallibile.
D’altra parte, lo schema della partita che si giocherà a settembre sulla fiducia sembra ricopiare alla perfezione quello già applicato sulle intercettazioni. Con Bocchino che assicura il «sì» dei finiani proprio come accadde con il voto all’unanimità dell’ufficio di presidenza del Pdl sulle intercettazioni. Come è andata a finire è noto, con la Bongiorno che ribaltò il ddl. Difficilmente, però, Berlusconi ricadrà nello stesso errore, tanto che durante la conferenza stampa dice chiaro che sui cinque punti «non ci saranno trattative come avvenuto in passato». Insomma, Fini si decida: prendere o lasciare. Perché «se il governo non avrà la fiducia si andrà dritti al voto». E tanto ne è convinto da individuare una data: «Dicembre». Con buona pace di Napolitano. Anche perché, aggiunge, «non c’è nessuna teoria giuridico-politica che arrivia giustificare un governo di quanti sono usciti sconfitti dalle elezioni». Un «no» deciso a qualsiasi ipotesi di governo tecnico.
D’altra parte, è la convinzione di Berlusconi, ormai il tempo stringe e a breve arriverà l’ennesimo tentativo di «ribaltare il risultato elettorale per via giudiziaria». È incredibile, ragionava qualche giorno fa in privato, che passati quindici anni l’unica strada per cercare di liberarsi di me resti quella della magistratura politicizzata. Che nella testa del premier è pronta a scendere in campo a dicembre, quando la Corte Costituzionale - il Cavaliere lo dà per scontato - boccerà il legittimo impedimento. A quel punto, via con il processo Mills che arriverebbe a sentenza prima dell’estate. Sentenza ovviamente di condanna, con l’opposizione in piazza, Di Pietro a stracciarsi le vesti e la stampa internazionale a raccontare lo scandalo del premier condannato. Solito film dell’ultimo decennio, anche se Berlusconi pare deciso a non vederlo.
Per questo il premier stringe il cerchio. E puntando il dito contro le «minoranze militanti della magistratura» e i loro «teoremi politici» in qualche modo anticipa quel discorso alle Camere sulle giustizia che gli frulla in mente da tempo. Poi si sofferma soprattutto sulla riforma della giustizia, citando il processo breve e il lodo Alfano costituzionale. Il messaggio a Fini è chiaro: o si mette una pezza alla prevedibile bocciatura del legittimo impedimento oppure è meglio tornare al voto.

Così, è quasi scontato che la mozione da approvare alle Camere non sarà niente affatto generica. Anzi, dovrebbe far riferimento e provvedimenti specifici con tanto di tempistica di approvazione. Un impegno così stringente da mettere all’angolo i finiani. Votata la fiducia diventerebbe difficile sfilarsi.

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