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Gli avvocati già pronti a un nuovo ricorso

Milano«Abbiamo fatto tutto il possibile. Adesso si tratta solo di aspettare»: sono le ultime parole che Calisto Tanzi dice ieri mattina ai suoi avvocati, poco prima di venire rinchiuso in cella a espiare la sua prima condanna definitiva per il crac Parmalat, quella per aggiotaggio inflittagli a Milano. La condanna si è assottigliata progressivamente: tredici anni in tribunale, dieci in corte d’appello, otto in Cassazione. Alla fine, considerando l’indulto e scontando i mesi già trascorsi in carcere preventivo o ai domiciliari, restano quattro anni e quattro mesi. Ma nella prigione di Parma il Cavaliere di Collecchio potrebbe restarci assai di meno: già questa mattina Fabio Belloni, Filippo Sgubbi e Gian Piero Biancolella - gli avvocati del suo staff difensivo - chiederanno al tribunale di sorveglianza di Reggio Emilia di concedergli gli arresti domiciliari, in considerazione dell’età avanzata (72 anni) e delle malferme condizioni di salute.
In cella Tanzi c’era già finito il 27 dicembre 2003, agli esordi del suo percorso giudiziario. Quella volta le manette erano sembrate coglierlo di sorpresa: tant’è vero che a San Vittore c’era finito senza niente da leggere, e dovette accontentarsi di un tomo sulle vite dei Santi preso dalla biblioteca della prigione finché un giornalista impietosito gli fece avere un paio di libri gialli.
Questa volta, invece, il carcere per Tanzi è arrivato ampiamente annunciato. Da ventiquattr’ore, dopo che la Cassazione aveva reso definitiva la sua condanna, il fondatore di Parmalat aveva visto affievolirsi le speranze di evitare il ritorno dietro le sbarre. I suoi legali avevano tentato di convincere il tribunale di sorveglianza di Milano a concedergli d’urgenza i domiciliari per motivi di salute. Ma a fine mattinata il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda aveva già fatto partire l’ordine: portatelo in cella.
Alla grande villa di Fontanini, la casa della moglie di Tanzi tra il torrente Baganza e la provinciale per Langhirano, arrivano insieme i finanzieri di Milano, che per anni hanno indagato su di lui e sulle sue malefatte, e le fiamme gialle di Parma. Tanzi appare un po’ stupito, soprattutto per la rapidità della faccenda. Raccoglie le sue cose, imbottisce una borsa di medicinali, bacia la moglie e va in prigione.

A espiare le colpe del disastro di Parmalat finisce solo lui, che del crac - checchè ne dica ora - fu l’indiscutibile protagonista, ma che non avrebbe potuto fare tutti quei danni se non avesse avuto al suo fianco fino all’ultimo anche le grandi banche italiane e straniere, che dai processi sono invece finora uscite incolumi. «Non so che libro si sia portato in carcere il cavalier Tanzi - dice il suo avvocato Gian Piero Biancolella - ma se avesse chiesto il mio consiglio gli avrei risposto: si porti Il Conte di Montecristo...».

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