Banca Mondiale, c’è Blair fra i candidati al vertice

da Roma

Chi sostituirà Paul Wolfowitz alla guida della Banca mondiale? La Casa Bianca è già al lavoro e ammette: «Un presidente non americano è potenzialmente possibile» anche se, aggiunge il portavoce Tony Fratto, «per tradizione, il candidato degli americani diventa capo della banca». Fra i nomi indicati dai giornali l’ex vicesegretario di Stato Robert Zoellick, il vicesegretario al Tesoro Robert Kimmit, l’economista Stanley Fischer, ex vicedirettore generale del Fmi che ora è governatore della Banca di Israele. Si parla anche di Tony Blair, che aveva impegnato la presidenza britannica del G8 alla cancellazione del debito a favore dei Paesi africani più poveri. «È uno dei nomi che si stanno facendo», conferma il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, fautore di una modifica profonda dei meccanismi di nomina ai vertici di Fmi e Banca mondiale. Della successione parlano, a porte chiuse, i ministri finanziari del G8 riuniti a Potsdam, assenti lo statunitense Paulson e ovviamente lo stesso Wolfowitz. Nessuno ufficialmente mette in discussione il diritto di nomina da parte americana. Ma l’esito della vicenda ha fatto capire che la Banca mondiale non può essere governata dall’alto, contro il suo staff: «La banca è un buco nero di indolenza e burocrazia: ma vi si trova il meglio del mondo, e Wolfy l’ha umiliato», dice un dirigente della World Bank al Washington Post.
Il fiocco azzurro. A metà aprile, i giornalisti giunti a Washington per gli incontri Fmi-Banca mondiale si sono imbattuti in funzionari che, sulla giacca, sfoggiavano un nastro azzurro. Non si trattava della solita iniziativa benefica, ma di una forma di protesta contro l’atteggiamento tenuto da Wolfowitz nei confronti della dirigenza dell’istituzione. «Lo staff della banca l’ha preso storto fin dal primo giorno», dice Desmond Lachman, dell’American Enterprise Institute, un think tank conservatore. In realtà, Wolfowitz ha avuto una brevissima luna di miele, poi le cose si sono subito guastate. In particolare lo staff non ha digerito l’assunzione di due «ex» della Casa Bianca: Kevin Kellems, che era stato addetto stampa del vicepresidente Cheney, e Robin Cleveland, che lavorava all’ufficio del Bilancio della Casa Bianca. Kellems e la Cleveland hanno gestito con Wolfowitz alcune decisioni molto controverse di questi due anni: in particolare, sono stati cancellati prestiti a Paesi come Cambogia, Repubblica democratica del Congo, India e Kenia (accusati di corruzione), che poi il board dei direttori della banca ha ripristinato. Wolfowitz ha inoltre deciso di riaprire l’ufficio a Bagdad e di incrementare i finanziamenti a Irak, Afghanistan e Pakistan. Chi si è opposto, come il vicepresidente per il Medio Oriente Christiaan Poortman, è stato costretto alle dimissioni. In 18 mesi di gestione Wolfowitz, la metà dei massimi dirigenti della Banca ha lasciato il posto. «Ora siamo determinati a riparare questi danni», dice Daniela Gressani, che ha rimpiazzato Poortman. È dunque chiaro che il caso Riza non è il vero motivo del defenestramento di «Wolfy il falco».
La donna del mistero. Shaha Riza - la cui relazione con Wolfowitz era sconosciuta al mondo fino all’aprile scorso - non è una comune dirigente della banca, ma un personaggio di spicco nel mondo delle relazioni internazionali, in specie quelle fra Usa e mondo arabo. Nata in Arabia saudita, cresciuta in Libia, ha frequentato la London School of Economics e il St. Anthony College a Oxford. In Inghilterra ha conosciuto e sposato il turco Bulent Aliriza, quindi la coppia si è trasferita a Washington. Nella capitale americana, Shaha ha lavorato alla Iraq Foundation, un gruppo che sosteneva l’opposizione in esilio a Saddam Hussein. Le sue iniziative sarebbero state ben viste da Ahmed Chalabi, il patrizio iracheno che Wolfowitz e altri al Pentagono pensavano di sostituire a Saddam come presidente. Nell’aprile 2003, dopo l’attacco americano, Shaha si recò a Bagdad per collaborare con le donne irachene alla formazione del nuovo governo. Wolfowitz facilitò quella missione. Nel 2004, Shaha organizzò una conferenza per sostenere le riforme nel dopo Saddam. Questa intensa attività si è svolta sempre dietro le quinte: tanto che della donna i giornali hanno una sola foto, ripubblicata all’infinito. Fra le amiche di Shaha, l’ex giudice della Corte suprema Sandra Day O’Connor ed Elizabeth Cheney, figlia del vicepresidente degli Stati Uniti.
«WB ipocrita». Nei Paesi africani, spesso sotto accusa nella campagna anti-corruzione inaugurata da Wolfowitz, adesso si accusa la World Bank di ipocrisia.

«Hanno tenuto loro per primi i comportamenti che contestavano a noi», dicono esponenti del mondo economico e delle organizzazioni umanitarie. Ora gli africani attendono grandi cambiamenti nel palazzone vetrato della diciannovesima strada, a Washington.

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