Le banche scaricano Obama Basta soldi ai democratici

James Dimon è il nome per capire questa storia. Segui lui e i suoi: Dimon è il banchiere di Obama, l'amministratore delegato di Jp Morgan, una delle società di Wall Street più buone durante la campagna elettorale, una delle più generose in contributi e donazioni. Dimon, poi, è amico di Obama: si era anche vociferato di un suo possibile ingresso nell'amministrazione. Voci e soldi, no? Sono finite tutte e due. Resta l'amicizia, la conoscenza, forse la stima. Non gli assegni. Negli ultimi tempi il flusso dei fondi di finanziamento alla politica di Jp Morgan ha fatto inversione: nei primi tre trimestri del 2009, il 76 per cento era finito ai democratici, nell'ultimo trimestre, il 73 per cento è andato ai repubblicani. Mezzo giro in novanta giorni per far capire che aria tira a Wall Street: Obama e i democratici non sono più un punto di riferimento. La vendetta preventiva o qualcosa di simile. Perché c'entra la riforma del sistema finanziario di cui parla da settimane il presidente, c’entrerà anche l’ultimo affondo fatto a New York giovedì.
Il fenomeno, però, è cominciato prima, nei giorni del caos della crisi, quando Obama s’è trovato un sistema al collasso e un paese in agonia: ha puntato tutto contro i soldi, contro le banche, contro Wall Street. All’accenno di un piano di controllo maggiore della finanza è cambiato il mondo: il candidato che aveva riscosso simpatie e cumuli di denaro durante la campagna elettorale, è diventato il nemico. I primi scricchiolii sono arrivati a ottobre scorso: c’erano due eventi organizzati dal partito democratico a New York. Il primo era una cena al Mandarin Hotel, uno dei più lussuosi di Manhattan: erano attesi duecento grandi donatori pronti a pagare 30.400 dollari per l'evento, il massimo consentito dalla legge. Con un problema: solo quattro dei sette co-presidenti della cena lavoravano nel mondo della finanza e solo un terzo dei partecipanti erano persone legate a Wall Street. I banchieri di colossi salvati dallo Stato come Goldman Sachs, Jp Morgan Chase e Citigroup che avevano annunciato la propria partecipazione si contavano sulle dita di una mano, con un misero contributo complessivo di poco più di 90mila dollari. Non un caso. Perché la stessa cosa è successa al secondo evento: una serata all'Hammerstein Ballroom con 2.500 donatori pronti a pagare mille dollari a testa. Wall Street e i suoi uomini latitanti anche lì. Eppure Obama era stato il loro uomo solo un anno prima. Perché è vero che la finanza negli anni ha quasi sempre fatto il tifo per i repubblicani, però nel 2008 aveva cambiato prospettiva: aveva puntato su un giovane, brillante, vincente uomo dell’Illinois. Nei primi sei mesi del 2008, il 54% dei fondi di Wall street era andato ai democratici. Obama, da solo, aveva ricevuto oltre 180mila dollari. John Mack, amministratore delegato di Morgan Stanley aveva scelto George W. Bush, però due anni fa ha deciso di cambiare: appoggio a Hillary Clinton durante le primarie e a Barack Obama alle presidenziali. Così anche molti dei manager di Citigroup, di Goldman Sachs, di Lehman Brothers e di Ubs.
È finita quell’era, è finito l’amore. Wall Street non apprezza la riforma finanziarie e, in realtà, non ha apprezzato neanche l'intervento pubblico di salvataggio delle grandi banche americane in crisi. Ne hanno approfittato, ma filosoficamente, politicamente, concettualmente i banchieri d’affari sono contrari all’intervento dello Stato: lo giudicano inopportuno, invadente, socialista. «Sovietico», ha azzardato qualcuno esagerando. I rimproveri pubblici fatti dal presidente al sistema di Wall Street hanno cominciato a creare malumori. Le accuse di avidità, insensibilità, cattiveria, hanno peggiorato la situazione. Soldi? La finanza ha invertito il flusso di denaro: meglio puntare sui repubblicani verso le elezioni di metà mandato del prossimo novembre. A un certo punto il New York Times ha raccontato che solo Goldman Sachs aveva mantenuto un livello di contributi alto. D’altronde uno dei principali finanziatori della campagna elettorale di Obama, Philip Murphy, un ex di Goldman Sachs oggi è ambasciatore americano in Germania.

Poi è successo quello che è successo: anche Goldman se la passa male e capita che il presidente parli a Wall Street proprio nei giorni del caos di GS: e critica i modi di fare delle banche, chiede di accettare la riforma, pretende un ridimensionamento. Al prossimo controllo sui finanziamenti alla politica ci sarà un’altra inversione. Un’altra vendetta.

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