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«Bancone», spuntano i primi problemi

«Non chiamatelo bancone», avvertono già dal quartier generale di Verona. Eppure la rivoluzione illustrata ieri a Milano dai vertici del Banco Popolare a prima vista sembra un mix tra, appunto, il «Bancone» di Unicredit (il cosiddetto piano di banca unica One4C varato l’anno scorso da Piazza Cordusio con la fusione nella holding delle 5 controllate) e il modello Banca dei Territori creato da Intesa Sanpaolo con la nascita di tanti piccoli «feudi» retail per mettere insieme le diverse realtà bancarie locali che facevano capo a Banca Intesa e al Sanpaolo di Torino prima della fusione.
Il progetto prevede l’incorporazione delle Popolari di Verona, Novara, Lodi e della la Cassa di Risparmio di Lucca Pisa Livorno, oltre al passaggio dalla governance duale a un cda tradizionale composto da un massimo di 24 poltrone. «Come due squadre di calcio, e non sempre si giocheranno partite amichevoli», fa notare con malizia un banchiere di lungo corso. Il piano, inoltre, prevede che venga mantenuta «la ripartizione territoriale della maggioranza (quattro quinti) dei componenti del consiglio di amministrazione, che non siano tratti tra i dirigenti del gruppo, tra i soci residenti nelle aree geografiche di riferimento delle tre divisioni territoriali». Aggiungendo che la scelta del presidente sarà dell’assemblea e «sottratta al vigente vincolo territoriale, ferma la facoltà dei territori delle tre banche popolari fondatrici, ove non esprimano il presidente, di indicare un vicepresidente ciascuno».
La strategia del Banco è dunque quella di mettere sotto un unico cappello e un’unica testa, anime e campanili diversi. Obiettivo ambizioso, considerando le insofferenze che cominciano già a manifestarsi nelle «province» dell’impero. Come a Lodi, dove si teme che della storica Popolare già travolta dal crack Fiorani, alla fine rimanga solo il nome con zero autonomia. Mentre anche nella capitale del Banco, a Verona, si registra qualche mugugno, perché per la prima volta cade il vincolo della «territorialità» del presidente, garantito nell’attuale statuto. Il che vorrebbe dire, in linea teorica, che in futuro la poltrona numero uno del cda unico di Piazza Nogara potrebbe anche essere assegnata a un banchiere proveniente da fuori. Non sono dunque sembrate casuali le parole del sindaco Flavio Tosi, che a ventiquattrore dall’annuncio della svolta strategica ha sottolineato: «Io non mi formalizzerei più che tanto. Mi pare che sia nella logica delle cose che la presidenza, anche in futuro, sia destinata a rimanere a Verona. Scommetterei anche una cifra notevole che alla fine il presidente sarà comunque un nostro concittadino».
Nel riassetto della galassia non rientra invece il Creberg, soltanto «perché avrebbe comportato un costo in termini di ratio patrimoniali, non essendo controllata al 100%», ha spiegato ieri l’ad Pier Francesco Saviotti, escludendo anche la vendita dell’istituto bergamasco. Quanto alla solidità patrimoniale del nuovo Banco, Saviotti ha sottolineato il superamento degli stress test con un Core Tier 1 2012 al 5,7% «molto superiore al 5%» previsto come limite minimo. «Il nostro vero valore è il 6,2%, considerando la conversione del bond soft mandatory che non è contemplata perché le iniziative in corso danno la possibilità di rispettare Basilea 3».

Tra queste la cessione di asset non strategici, tra cui le quote del Crédit Agricole e la Banca Depositaria, per cui ci sono due controparti. Escluso, quindi, il ricorso a un nuovo aumento di capitale dopo quello da 2 miliardi, terminato a febbraio.

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