Al bar scatta lo sciopero dei buoni pasto

Per un giorno, alla cassa non si potrà pagare il pranzo con i ticket. Domani si tiene in tutta Italia il «No ticket day», la giornata di protesta dei pubblici esercizi indetta da Fipe-Confcommercio. E allo sciopero partecipano anche i 1.200 bar e ristoranti aderenti a Fepag-Ascom Genova che hanno chiesto con forza all'Associazione provinciale di farsi sentire al livello nazionale sul tema dei buoni pasto. Il problema? Una sentenza del Tar del Lazio che cancella alcune delle regole in vigore nel settore, «con un danno - spiegano i gestori - sui ribassi di gara, sulle commissioni e sui tempi dei rimborsi dei buoni pasto. A rimetterci siamo noi - aggiungono - e quindi il servizio».
Per capire la vicenda bisogna fare un passo indietro. «Nel 2005 il ministero delle Attività produttive aveva disciplinato l'attività di emissione dei buoni pasto, dando certezze e sicurezze sia ai lavoratori dipendenti fruitori del buono pasto che agli esercenti» ricordano i titolari di bar e ristoranti. Una recente sentenza del Tar Lazio, su ricorso di una società emettitrice, «limita però diritti essenziali previsti da quella norma: si torna indietro, quindi, con i conseguenti rischi per tutti i fruitori del servizio. Così, dicono i gestori, si assottigliano i ricavi e aumentano i costi per l’esercente».
L’associazione fa anche delle stime. La sentenza del Tar allunga da 45 a 240 i giorni per ottenere i rimborsi del buono pasto, fa salire dal 7 all’11 per cento i costi delle commissioni.
Fipe-Confcommercio presenterà nella giornata dello sciopero dei ticket il ricorso al Consiglio di Stato, assieme a Fida, per richiedere la sospensiva della sentenza del Tar che «crea un danno grave e irreparabile al settore». Inoltre è allo studio, da parte di Fepag Ascom Genova, un progetto su base nazionale in cui gli stessi esercenti siano protagonisti e artefici delle proprie sorti commerciali: la costituzione di una società emettitrice Fipe Confcommercio autonoma.


«La protesta, peraltro fatta in maniera molto civile, non può che essere condivisa perché è nell'interesse delle oltre 100mila imprese che ogni giorno consentono a due milioni di lavoratori di pranzare fuori casa. E la condividiamo soprattutto perché - racconta Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio - è una vertenza fatta per la democrazia economica di questo Paese».

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