Basta moschee illegali E i sermoni dell’imam vanno recitati in italiano

RomaLibertà di culto ma nel pieno rispetto delle leggi italiane. Trasparenza assoluta dei conti anche per tutte le forme di donazione. Sermoni soltanto in italiano. Altrimenti le moschee «fai da te» e prive di controllo possono trasformarsi in una concreta minaccia per la sicurezza pubblica.
Queste le principali indicazioni del Comitato per l’Islam italiano che si è riunito ieri al Viminale alla presenza del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e del sottosegretario, Alfredo Mantovano. Di fronte ad una «proliferazione di luoghi di culto al di fuori delle regole» il Comitato evidenzia la necessità di indicare alcuni criteri ai quali attenersi per evitare l’inevitabile esplosione di «incomprensioni e conflitti con la popolazione circostante».
L’unica via dunque è quella di far emergere tutte le realtà sommerse «all’interno di un’opera di persuasione, non di repressione o schedatura, che induca a cessare la pratica di mascherare luoghi di culto dietro attività culturali, ricreative, sportive o commerciali». Quindi anche per i luoghi di culto «dovrà essere tenuta regolare contabilità» con la massima trasparenza per i finanziamenti, i lasciti e le donazioni. All’interno dovranno essere proibite le «attività di propaganda politica e ideologica» così come le attività commerciali se non si è in possesso delle regolari licenze.
Dovranno essere rispettate tutte le normative relative all’edilizia ed all’urbanistica e l’area dovrà essere scelta tenedo conto del rispetto della sicurezza e dell’ordine pubblico. La moschea poi dovrà essere aperta a tutti, anche ai non islamici che si impegneranno ovviamente a rispettare la sacralità del luogo. Si consiglia poi che i sermoni vengano tenuti in italiano. Regole fino ad ora ignorate.
La relazione del Comitato fa riferimento alla ricerca condotta dal professor Stefano Allievi, docente di sociologia dell’Università di Padova, secondo la quale sarebbero 764 i luoghi di culto per i musulmani. Si tratterebbe nella maggioranza dei casi di scantinati o ex garage adibiti alla preghiera e concentrati soprattutto al nord dove è più forte la presenza di immigrati di fede islamica. Soltanto tre le moschee vere e proprie: a Roma. Milano, Catania.
I luoghi di culto di solito nascono dietro la richiesta di aprire in un luogo pubblico un non meglio definito «centro culturale». Una volta ottenuta la concessione dal Comune si trasforma la destinazione d’uso in luogo di culto. Una pratica ritenuta non legittima dal Comitato del Viminale perchè nel cambio non si tiene mai conto della «corretta applicazione della normativa edilizia».
Esiste poi un problema molto più grave. Alcuni di questi ex centri culturali a partire dagli anni ’90, denuncia la relazione, si sono dedicati ad una «attività di indottrinamento, radicalizzazione e reclutamento» ispirata «all’ultrafondamentalismo islamico» e sono stati gestiti «da persone condannate per diversi reati anche connessi al terrorismo internazionale».
Insomma i luoghi di culto fuori controllo rappresentano una minaccia «nei confronti della società italiana e della stessa comunità internazionale». Non possono essere tollerate «pretese di extraterritorialità» quando anche «autorevoli esponenti islamici sostengono che la moschea non soggiace che alle leggi dello Stato in cui sorge».
La storia recente di molti paesi europei insegna che è alto il rischio della formazione di «gruppi etnico-religiosi incapaci di dialogo». Esiste, prosegue la relazione, un difetto di impostazione nel programma del Pve (prevenzione dell’estremismo violento). Ovvero l’idea che dialogando con gli estremisti non violenti si possa gestire la situazione.

Un errore compiuto sia in Inghilterra sia in Francia dove sono stati individuati «gli islamisti non violenti come possibile antidoto ai jihadisti», conclude la relazione, perchè i presunti non violenti spesso non sono affatto moderati.

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