Basta zone d’ombra, anche Roma tiri fuori i nomi

RomaSperiamo che, una volta usciti gli elenchi completi degli inquilini del Trivulzio, tutti gli altri si facciano prendere dal virtuoso «contagio» e mettano in vetrina canoni, metrature e nomi degli affittuari illustri. Evidentemente non è bastata l’iniziativa del legislatore che, nel 2001 con la legge 410, ha invitato gli enti previdenziali a dismettere l’«argenteria buona», cioè le case, per evitare privilegi riprovevoli e gestioni opache.
Dopo il nuovo caso Trivulzio, è necessario un cambiamento di passo. Non basta, con tutta evidenza, sensibilizzare il legislatore. Serve un appello da destinare a chi gestisce immobili pubblici affinché dimostrino quanta trasparenza mettono al servizio di una virtuosa gestione del bene comune. Ecco la parola giusta: trasparenza. In Russia la glasnost è servita ad abbattere la cortina di ferro. Qui potrebbe servire per distruggere, dalle fondamenta, il muro del privilegio.
Adesso che l’Inps e l’Inpdap non possono più mettere sul mercato a prezzi di favore immobili, l’appello va rivolto agli enti locali. Province, Regioni, ma soprattutto Comuni sono gli ultimi depositari di un potere enorme. L’edilizia residenziale pubblica, va precisato, è sottoposta a regole ben definite. Tanto che i Comuni grandi e piccoli, con Roma in testa, pubblicano regolarmente i bandi di assegnazione degli alloggi con i relativi destinatari. Quindi bisogna avere dei requisiti oggettivi per entrare in possesso di una casa comunale. Per la verità questo lo sapevano anche i sassi. Eppure oggi scopriamo che sacche di privilegio continuano a nascondersi nelle pieghe di bandi, norme e regolamenti.
Ed è da questa consapevolezza che parte l’appello. Prendiamo il Comune di Roma, per esempio. Non un’amministrazione scelta a caso, sia chiaro. Bensì quella che gestisce il più cospicuo patrimonio immobiliare dell’intera penisola. È al Campidoglio, quindi, che si chiede massima trasparenza. Magari si potrebbe sollecitare l’amministrazione comunale o i vertici dell’Ater (Azienda territoriale dell’edilizia residenziale pubblica) a mostrare gli elenchi degli inquilini per dimostrare che non ci sono persone che sfruttano la ricchezza del privilegio per ottenere «sconti» fuori mercato sul canone d’affitto. Consapevoli che, se piccole oasi di privilegio resistono, non si trovano certo nelle nuove periferie della metropoli, bensì in quegli immobili di pregio ancora di proprietà comunale che sono sparsi a macchia di leopardo per le vie del centro storico.
Eppure siamo entrati da più di un lustro nella cosiddetta «era delle cartolarizzazioni». Cui partecipano in buona parte anche le amministrazioni locali. Prendiamo il solito Campidoglio come esempio: nel 2007 l’amministrazione comunale romana ha avviato un’operazione su vasta scala mettendo in vendita quasi la metà del patrimonio comunale (ben 12mila alloggi su un totale di 25mila). Alloggi, beninteso, che si trovano in zone periferiche della metropoli. Segno che qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta.
L’appello comunque lo estendiamo a tutti gli uomini (meglio gli amministratori) di buona volontà.

Che siano ai vertici di fondazioni previdenziali (come Enasarco o Inpgi), che siano nelle stanze dei bottoni di istituzioni pubbliche (come Inps e Inail), o che governino amministrazioni territoriali come Comuni, Province e Regioni. Fuori i nomi. Per il bene di tutti e soprattutto per il bene comune.

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