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La bella Sa Dingding popstar cinese formato esportazione

Le vie della world music sono infinite. E sempre più frequentate. Tanto è vero che ormai alle nostre latitudini l'esotismo in musica è di casa non solo nelle rassegne live di nicchia, ma anche in grandi eventi come il Milano Jazzin' Festival che, guarda caso, domani sera (ore 21, ingresso 10 euro) ha invitato all'Arena Civica l'aspirante superstar della musica «made in China» formato export, la 26enne Sa Dingding.
Giovane, glamour, riflessiva e forte di una voce duttile, potente ed evocativa, la cantautrice nata nella Mongolia Interna, provincia del Nord della Cina, approda per la prima volta nel nostro Paese sulla scia di due album incisi ad hoc per il mercato internazionale (col primo, Alive ha vinto il prestigioso Bbc Radio 3 World Music Award sezione Asia, mentre nell'ultimo, Harmony, si è fatta produrre da Marius De Vries, collaboratore in passato dell'islandese Björk, alla quale è paragonata di continuo dalla critica occidentale). Dischi ambiziosi (e forse anche un tantino iper-arrangiati…), coi quali la ragazza figlia di una famiglia di origine nomade (mamma è mongola, papà è dell'etnia Han, la più diffusa in Cina) ha provato a trovare un «punto d’incontro» tra sperimentazione elettronica e ambient, da un lato, e musica folk cinese, principalmente dello Yunnan (estesa provincia del Sud-Ovest della Cina confinante con il Laos, la Birmania e il Vietnam), dall'altro. Una miscellanea ardita e intrigante, dove c'è spazio per suggestioni e sonorità digitali, momenti acustici (sottolineati dall'utilizzo di strumenti tradizionali come il guzheng, la cetra cinese a 21 corde), e per un cantato etereo e poliglotta che alterna mandarino, inglese, mongolo, tibetano, ma anche sanscrito, l'antichissima lingua che appartiene all'India e al Tibet, la lingua studiata dallo stesso Dalai Lama (ed è con il sanscrito che sono scritti la letteratura e i testi sacri, compresi gli ipnotici mantra). Per altro la propensione poliglotta della cantante, ballerina, coreografa e polistrumentista, diplomata all'Accademia di Belle Arti dell'Esercito Popolare di Liberazione di Pechino e ora simbolo della nuova Cina che si apre al mondo (è stata scelta come voce cinese per l'happening inaugurale dell'Expo di Shangai), ha infastidito, e non poco, i piani alti del Celeste Impero. Ma lei, non avendo nessuna intenzione di finire la carriera denunciando l'occupazione cinese del Tibet, ha sempre evitato con cura ogni accenno polemico e di fronte a domande scomode è solita cavarsela così: «Io porto in giro per il mondo la ricchezza della cultura cinese. E il Tibet ne è una sua componente». Oltre alle canzoni, Sa Dingding, accompagnata sul palco da un quartetto di musicisti, cura anche nei minimi dettagli la propria immagine, così come le coreografie e i costumi di scena, un indovinato mix di tuniche in stile tibetano adornati con immagini sacre che vanno dal Buddha alle tante divinità tantriche.

Attenzione: con il concerto della «stella» cinese non andrà in archivio l'edizione 2010 del Milano Jazzin' Festival. Gli organizzatori hanno aggiunto in corsa una nuova data, fissata per mercoledì sera. Fari puntati sul cantautore-pianista statunitense Peter Cincotti che presenterà in anteprima l'album East of Angel Town.

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