Bello, vero e buono. Ma anche lussuoso

Il canone estetico del Ventunesimo secolo si basa ancora su un ideale "classico". In cui il prezzo c'entra solo in parte

Bello, vero e buono. Ma anche lussuoso

Di che cosa parliamo quando parliamo di lusso nel Ventunesimo secolo? Siamo in mezzo alla crisi economica e, allo stesso tempo, subiamo l'influsso e il fascino di messaggi più o meno espliciti su ciò che è lussuoso e desiderabile. E viviamo anche nell'epoca in cui forse più che mai, nella storia, si è ampliato il ventaglio di possibilità e occasioni per chi ambisca a possedere qualcosa di lussuoso (e possa permetterselo). Eppure, come spiega Stefano Zecchi nel suo nuovo libro intitolato appunto Il lusso. Eterno desiderio di voluttà e bellezza (Mondadori, pagg. 208, euro 18; in libreria da martedì), di cui anticipiamo qui un brano, lussuoso non è sinonimo di «costoso», anzi. Desideriamo il lusso per una tensione innata alla bellezza, che portiamo dentro di noi fin dall'età classica, dall'ideale greco di bello e buono, di bellezza e verità, di coincidenza fra estetica ed etica che, pur attraverso i secoli e in un mondo completamente diverso, non abbiamo mai abbandonato. Il vero lusso non dipende solo dal conto in banca (anche se può aiutare) bensì è un valore dello spirito, un'esperienza di vera bellezza, che richiede anche la cultura per apprezzarla.

All'epoca di re Luigi XIV, viveva in Francia il signor René Cardillac, un orafo di straordinaria bravura, al punto che i suoi gioielli erano ammirati dagli aristocratici, in particolare dalle nobildonne, di tutta Europa. Ma Cardillac non era affatto felice del suo successo: per quanto fosse ben pagato, non riusciva a sopportare l'idea che i suoi gioielli, alla cui creazione dedicava tutto il proprio talento, finissero appesi al collo e alle orecchie o infilati nelle dita della mano di persone che li possedevano soltanto per esibire la propria vanità e ricchezza. Gente indifferente e ignara del valore artistico di quegli oggetti, ma consapevole di quali vantaggi questi potessero offrire quando venivano sfoggiati nei salotti dell'aristocrazia parigina per distinguersi dai rivali di corte, anch'essi alla ricerca di benevolenze e favori. Il disprezzo per i propri clienti finì per trasformare Cardillac in un omicida: con lo stesso impegno con cui inventava le sue opere di oreficeria, programmò l'uccisione in grande stile dei suoi acquirenti indegni di portare le sue creazioni. Questa è la trama di uno dei racconti più famosi dello scrittore austriaco E.T.A. Hoffmann, La signorina von Scudéry , in cui la figura dell'orafo Cardillac mi sembra un esempio di straordinaria chiarezza di ciò che si debba intendere per «lusso». Nell'esperienza di lavoro del gioielliere e nel suo sentimento omicida sono connesse due questioni che, oltre a dover essere tenute sempre presenti, neppure si riuscirebbero mai a separare: innanzitutto, il valore venale non potrà mai essere il criterio per stabilire che un determinato oggetto sia davvero un oggetto di lusso; in secondo luogo, come conseguenza di questa affermazione, si dovrà anche aggiungere che il valore estetico di un oggetto di lusso non potrà prescindere né dal suo uso, né dal suo prezzo, inevitabilmente sempre molto alto.

Il lusso ripropone di continuo il conflitto vissuto dall'artista tra il valore originale della creatività estetica dell'opera e il valore venale che essa deve avere: l'orafo Cardillac non ha trovato modo migliore per risolvere questo conflitto se non con l'omicidio di chi aveva acquistato i suoi gioielli. Nell'oggetto di lusso c'è un desiderio di assoluto, la visione di una bellezza che, raggiungendo una propria ideale perfezione, oltrepassa qualsiasi dominio dell'utile sulla qualità estetica. Anzi, generalmente il lusso è ritenuto qualcosa di inutile, di superfluo, e tuttavia esso appare essenziale per cogliere, talvolta vivere, il senso più alto della bellezza. Il lusso ha una preziosità venale, ma nessun prezzo corrisponde al suo valore estetico, valore che, rispecchiando l'origine della nostra cultura classica, diventa eticità: la vera bellezza è autentica eticità. Il tempo della classicità è trascorso, ma sono rimaste alcune espressioni che ereditano l'antica relazione tra ciò che è bello e ciò che è buono, tra il lusso come forma rara di bellezza e l'etica. Ascoltiamo di sovente nel linguaggio comune affermazioni come queste: «Una bella famiglia unita e armoniosa è un lusso». Oppure: «Permettersi oggi di far studiare i propri figli fino al conseguimento della laurea è un lusso che non possiamo permetterci». Nella prima affermazione si evoca il lusso come un valore spirituale incommensurabile al denaro, nella seconda il denaro rappresenta la condizione necessaria per un progetto lussuoso altamente morale come, appunto, è quello di portare alla laurea i propri figli. In entrambi gli esempi, lusso è un valore alto, difficilmente raggiungibile: nel primo esempio è immediata la connessione con una condizione di vita auspicabile, in cui il denaro - come si dice - aiuta ma non è la prima cosa necessaria; nel secondo esempio, le esigenze economiche elevate trasformerebbero la ricchezza in un progetto eticamente importante che sottrarrebbe il lusso al suo carattere superfluo. Tuttavia è evidente che in entrambi gli esempi s'insinua l'idea che il concetto stesso di lusso non possa prescindere dalla relazione con una determinata quantità di denaro, sia quando, come nell'esempio della famiglia felice, si ritiene che essa possa essere serena anche senza essere ricca, sia nell'esempio in cui viene auspicato il raggiungimento della laurea del figlio, cosa che, per quanto etica, ha bisogno di una certa ricchezza per poter essere realizzata.

L'oscillazione tra l'idea del carattere venale del lusso e il suo valore irriducibile al denaro aumenta, anche nella sua contraddittorietà, quando «oggetti» di lusso non sono temi culturalmente indiscutibili e auspicabili come una famiglia armoniosa oppure il conseguimento della laurea, bensì cose futili, superflue come i magnifici gioielli dell'orafo Cardillac, così come le opere di ogni eccellente artigiano d'arte. Dunque, si tratta di un luogo comune relegare il lusso tra i desideri e gli oggetti che hanno un costo molto elevato, accessibile soltanto ai ricchi. In risposta a questa banalità si potrebbe affermare con un eccesso di enfasi che il lusso riflette una volontà di vita nella bellezza, lontana dall'ostentazione della ricchezza e dal bisogno di esibire un'immagine di sé seducente.

Il lusso ci mette di fronte al significato prezioso della bellezza (sia esso un significato morale, come la famiglia nel precedente esempio, sia esso un valore estetico, come i gioielli del protagonista del racconto di Hoffmann). Tuttavia, per comprenderne il significato sono necessarie quelle doti culturali possedute dall'orafo Cardillac, ma non dai suoi clienti, che egli perciò disprezzava e, quando gli riusciva, ammazzava con l'unico scopo di salvaguardare il valore spirituale (estetico) dei suoi gioielli che nessuna somma di denaro, sia pure enorme, avrebbe potuto surrogare. Un'insopportabile volgarità è, pertanto, l'idea che sia lussuoso soltanto ciò che è molto costoso.

Cosa sia lusso ce lo fa comprendere l'educazione estetica: il conto in banca spesso consente di appropriarsene, ma ciò non significa capirne il valore, con la conseguenza che una persona, pur fregiandosi di oggetti di lusso, può - anche senza saperlo - continuare a esibire la sua volgarità, se volgare era prima di adornarsi di collane e anelli lussuosi.

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