Ma le belve anti-Cav si sbranano tra loro

di Vittorio Macioce

Non hanno ancora catturato la preda e già pensano a scannarsi tra di loro. L’Italia si sta vestendo di folla e follia. Gli intellettuali si radunano per chiedere l’abbattimento del premier. Di Pietro invoca la Bastiglia e si sente l’odore della ghigliottina. Le procure intercettano a tappeto. Scalfari evoca la rivoluzione egiziana. I Viola vanno a caccia ad Arcore. L’impressione è che gli antiberlusconiani abbiano rinnegato del tutto la democrazia. Sapete ancora il significato della parola voto? No, ora siete tutti ubriachi di rivoluzione. Fa nulla che in Italia non ci sia un dittatore, ma un signore eletto con libere elezioni. Se c’è ancora qualcuno all’opposizione, oltre a Cacciari, che crede nella liberaldemocrazia dovrebbe alzare la voce. Fermatevi.
La beffa è che gli anti Cav non sono un fronte compatto. Non hanno ancora vinto e si preoccupano, con rabbia e rancore, di chi dovrà comandare domani. Si accusano l’uno con l’altro di non essere abbastanza puri, radicali, incazzati, inflessibili. È una corsa al terrore. Non c’è niente da fare. Tutte le rivoluzioni, anche quelle grottesche come questa, finiscono nel cannibalismo. Oggi siamo tutti antiberlusconiani, domani ti taglio la testa. E così sia.
Esagerato? Mah. Quando si grida alla Bastiglia tutto può succedere. Non ci saranno ghigliottine reali, ma già adesso tra gli anti Cav si respira un clima di sospetto. I protagonisti di questa storia non sono angeli disgustati dal bunga bunga; sono tutti espressione di un sistema di potere, ognuno con i suoi interessi, con la voglia di rifarsi, con la fame di chi da troppo tempo pensa di non contare abbastanza. Il Saviano papale sta facendo venire il mal di stomaco al Pd e alla sinistra storica. D’Alema arriccia il naso e lo vede come un dilettante allo sbaraglio. Veltroni non gli perdona di non averlo potuto adottare come figlioccio e per Vendola è un concorrente mistico. È come Calvino che incontra sulla sua strada Savonarola. Predicano con la stessa lingua, ma uno dei due è di troppo. Leggete tra le righe come Il Fatto di Travaglio parla di Saviano. Ascoltate l’insofferenza di Santoro. Non sono della stessa parrocchia. La resa dei conti è dietro l’angolo.
De Benedetti e la confraternita degli intellettuali fanno capire che Saviano è una risorsa politica. Non è più uno scrittore. È un predicatore di massa, un monaco viandante, con le stimmate di vittima della camorra. La televisione lo ha benedetto e raccoglie fedeli. Il suo è un sogno platonico: il governo dei filosofi.
Ma qui di sogni ce ne sono tanti. Pochi democratici. De Benedetti, per esempio, è un cosa, Scalfari un’altra. Il mammasantissima magari trova pittoresco il ragazzo di Gomorra, ma non gli passa neppure per la mente di santificarlo. Scalfari conosce gli intellettuali. Non è gente di cui ci si può fidare. Non è un caso abbia, per se stesso, rivendicato una patente di filosofo ma di una razza diversa: uno che parla con Dio, ma con competenza da tecnico. Il dopo Berlusconi il fondatore di Repubblica lo vede con l’austerità oligarchica di un Mario Draghi. Cosa c’è di più serio di Bankitalia quando a guidarla non c’è un ciociaro? Il sogno di Scalfari è il governo dei grand commis di Stato.
Si fa presto a dire giustizia, ma anche lì c’è uno scontro feroce per conquistare la bandiera di paladino dei pm. Travaglio, Santoro e Barbara Spinelli con la manifestazione davanti al tribunale di Milano certificano che la piazza giacobina è loro. Lo hanno dimostrato con pensieri, parole, immagini e drammaturgia delle intercettazioni. La svolta è che non si accontenteranno di fare opinione. Vogliono pesare. La loro azione sta togliendo spazio a Di Pietro, che sul partito dei pm ci ha costruito una carriera politica. È per questo che Tonino alza i toni, parla di ghigliottine e mette il cappello sulla folla Viola di Arcore. Non è roba sua. Ma è stato fortunato ad arrivare, almeno questa volta, prima dei tribuni annozerici e di quei barbosi rompiscatole di Micromega. Il contadino di Montenero di Bisaccia ha dovuto subire anche la conversione di Fini. Non l’ha gradita. Si è un po’ rassicurato solo quando ha capito che per Gianfranco la bandiera dei pm ha solo un valore difensivo. È la corazza che lo protegge dalla ruota della giustizia. Il loro sogno è il governo dei giudici.
I terzopolisti non hanno nulla in comune. Ma, visto che la Chiesa non si fida, corteggiano Montezemolo o la Marcegaglia. È il governo degli industriali. E si specchia con l’ingresso in campo accanto a Saviano, ma anche a Vendola, della Camusso, donna forte della Cgil. È il governo dei sindacati.

È vero, ci sarebbe anche il Pd. Ma quello da troppo tempo è il governo del nulla. Tutti questi governi sono pronti a scannarsi per accaparrarsi il futuro. Nella lista ne manca solo uno: il governo scelto dagli elettori.

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