Bene l'export: per i brand del lusso non c'è crisi

È senza dubbio difficile crearsi uno spazio all'interno di un mercato apparentemente saturo, invaso da più di 350 griffe, specie se l'ambizione è quella di misurarsi con i più grandi dallo stile ormai consolidato e dal nome del brand altisonante.
L'originalità, stando a quanto racconta Corrado Moro (nella foto), Team Manager di H.A.D.-Have a Dream, (la società padovana che ha collaborato alla creazione dell'ultima collezione occhiali da sole e da vista presentata dal marchio Tonino Lamborghini), è nell'utilizzo di materiali tecnologici e affini alla filosofia del brand, abbinati a uno stile di gran classe, ricetta fondamentale per ottenere un risultato eclatante. «È quello alto il target che soffre meno in questo periodo - racconta Moro -. A parte i mercati del middle est e del far est in generale,insieme al mercato russo (dove si è appena conclusa la fiera che è andata benissimo), che danno enormi soddisfazioni, in Italia, noi usciamo dalla logica della grande distribuzione puntando a una clientela esclusiva con un prodotto di grande qualità».
Dando uno sguardo al settore in generale, e anche ai numeri quindi, la chiave del successo dell'occhialeria italiana è l'esportazione che, nel 2012, risulta in crescita anche del 7 per cento. Nulla di nuovo, se si pensa che ormai tutti i settori colgono al massimo le opportunità dell'export per bilanciare il deficit del mercato interno.
Il trend positivo delle esportazioni ha fatto sì che la produzione dell'occhialeria di casa abbia beneficiato di un aumento del 5,3 per cento rispetto all'anno precedente, con un incremento conseguente, specie nelle grandi aziende leader del settore, dello 0,6 per cento degli occupati rispetto al 2011.
Il mercato interno, invece, è stagnante ormai da cinque anni, con un picco negativo nel 2012 (-4,5 rispetto al 2011).
«Dipende dai marchi - commenta Corrado Moro - perché il fashion e il lusso in Italia continuano ad avere buoni margini. Gucci, Chanel, Dior e altri grandi nomi non soffrono particolarmente.

Le grandi catene funzionano, ma con margini ridotti sulle grandi griffe, mentre al contrario sviluppano dei marchi propri andando a produrli in Cina. Sono convinto che per fare ripartire il mercato interno occorre puntare sulla qualità, che deve tornare a primeggiare, e sulla distribuzione».

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