La storia biologica delluomo è fatta, come quella di tutti gli organismi viventi, dalle mutazioni genetiche, che creano le differenze osservabili tra gli individui e tra le specie. Occorre però capire come la mutazione di un singolo individuo si possa poi espandere alla specie intera. Questo è possibile attraverso un processo in cui intervengono vari fattori; in particolare, quello fondamentale, il filtro che sceglie automaticamente le mutazioni utili per la specie, è la selezione naturale.
Oggi qualunque persona con buona cultura biologica, non accecata da pregiudizi religiosi \ sa che lo studio dellevoluzione è parte assolutamente necessaria per lo studio e la comprensione della biologia.
Tra gli effetti della selezione naturale conviene distinguere le mutazioni in tre tipi: quelle vantaggiose che favoriscono il miglioramento e lo sviluppo della specie (piuttosto rare); quelle che non hanno alcun effetto percepibile (la maggior parte); e infine quelle dannose, responsabili sul piano genetico di gran parte delle malattie e, sul piano evolutivo, di un certo regresso della specie. Darwin (e quasi contemporaneamente un altro biologo inglese, Wallace) ha capito che la selezione naturale avviene automaticamente grazie allereditarietà di molti caratteri, e che quelli che influenzano la sopravvivenza e la riproduzione a velocità diverse provocano levoluzione della specie attraverso un processo strettamente demografico. Il fattore della selezione naturale è assolutamente fondamentale, perché permette la continuazione della vita \.
Anche se molto difficile da studiare, la selezione naturale è di estremo interesse per il genetista. Attraverso lo studio delle malattie genetiche sono stati individuati alcuni principali meccanismi di selezione naturale.
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La natura \ ha escogitato \ invenzioni per la difesa dai parassiti, e uno di questi ha dato origine alla più grande differenza genetica tra le popolazioni umane (le cosiddette razze): il colore della pelle.
La più grande differenza genetica fra le classiche cinque razze umane - che alla fine del Settecento sono state proposte dal fondatore dellantropologia, Giovanni Federico Blumenbach, e ancora citate da molti - non è il colore della pelle, bensì quella causata da un gene denominato Duffy. Duffy produce una proteina che si situa sulla superficie dei globuli rossi. Questa proteina può non venire formata per una mutazione della funzione del gene; in sé non è molto importante, tanto è vero che quelli che non ce lhanno (i cosiddetti Duffy-zero) non hanno finora dimostrato nessun vantaggio o svantaggio; serve però a un parassita malarico \ per entrare nel globulo rosso e svilupparsi. Di conseguenza, gli individui Duffy-zero sono resistenti alla malaria, con il risultato che quasi tutti gli africani sono al 100% Duffy-zero, mentre nel resto del mondo il Duffy-zero è raro o inesistente.
Domandiamoci ora: quale poteva essere il colore originale della pelle delluomo?
Credo si possa affermare che fosse il colore bruno, poiché tutti i discendenti africani dei primi uomini sono bruni ancora oggi, e non neri; il nero è una conseguenza secondaria legata alla vita in ambienti tropicali, che comporta una forte esposizione al sole (quindi non nella foresta tropicale, ma piuttosto nella savana). Il colore bianco invece è dovuto a una ragione scoperta da non molto. Sappiamo bene che gli individui di origine europea sono tutti più o meno bianchi: un po meno bianchi nel Sud dellEuropa e bianchissimi al Nord.
Questa è unaltra conseguenza dellagricoltura; non so se si possa considerare un costo o un beneficio, dal mio punto di vista cè senza dubbio un costo, quello della minore resistenza ai tumori della pelle. Però, oggi, essere bianco ha senza dubbio un vantaggio a livello economico, e per capire come ciò sia potuto accadere consiglio di leggere il libro di Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie, che smentisce la convinzione che gli Europei siano i più ricchi perché sono i migliori, i più intelligenti, o la razza preferita da Dio. Questa vecchia idea sarà presto smentita dallo sviluppo economico di Paesi extraeuropei.
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Qual è oggi la forza culturale che può cambiare in maniera più consistente luomo? È la medicina. La medicina ha una influenza importantissima perché ha iniziato a curare delle malattie, cosa che fino a centocinquanta anni fa aveva fatto molto raramente. Ora invece è possibile, e ci sono stati enormi progressi negli ultimi centocinquanta anni, specie nei Paesi economicamente sviluppati. La medicina ci fa anche promesse, a cui bisogna credere con prudenza, per esempio quella di portarci tutti alletà di centoventi anni. Ma quale sarà la qualità della vita a queste tarde età, per così dire, artificiali, e quali saranno i costi di questo aumento? Per esempio, esiste la possibilità di curare linfertilità, che è spesso di origine genetica.
Oggi le persone che non potevano aver figli possono averne in modi molto diversi e la possibilità di curare queste malattie genetiche le renderà più frequenti in futuro. In genere, la frequenza di malattie genetiche curabili dovrà aumentare in futuro: questo si può chiamare un effetto disgenico della medicina (il contrario delleugenetica, che è il miglioramento delle qualità ereditarie, una utopia pericolosa). Niente di male, se i costi sono sopportabili: costi di qualità della vita e costo economico. Laumento dei costi della medicina sta ponendo problemi gravi a tutti i governi.
Un altro esempio delleffetto, se non della medicina, almeno della tecnologia collegata alla medicina, è luso degli occhiali, al giorno doggi quasi generale, mentre fino a settecento anni fa era una rarità assoluta. Il peggioramento della vista è più comune nelle popolazioni che più usano gli occhiali, quindi è evidentemente legato agli sviluppi culturali, nel senso più stretto: chi più legge più spesso ha bisogno di correzione che non altri. Ma il peggioramento interviene anche sul piano genetico, perché non cè più una selezione a danno di chi vedeva male, evidentemente. Questo è uno dei casi meno gravi, in quanto chi ha bisogno degli occhiali ha in fondo una malattia modesta, curabile, con costi economici in genere abbastanza contenuti.
In Italia abbiamo cominciato un importante lavoro che vogliamo estendere in ogni provincia: un esame genetico sistematico e il più razionale possibile della popolazione italiana. \ Oggi cè un numero di difetti o malattie che possono essere curate se individuate, e non ho quindi dubbi che possa convenire al portatore conoscerne lesistenza. \ Per questo abbiamo predisposto un sistema di raccolta completamente anonimo che, su richiesta dellinteressato, ci permetta di identificare il proprietario del DNA e di eseguire lesame richiesto.
Questo sistema è stato approvato dal garante della privacy: si tratta di una delle poche buone iniziative sociali di questi anni. Ora, le malattie genetiche curabili sono ancora poche, ma sono destinate ad aumentare; e ci sono altre diagnosi utili, per esempio la sensibilità ai farmaci. È già possibile scoprire attraverso lesame del DNA se una persona è resistente a un farmaco, o se è eccezionalmente sensibile. Vi è infine unaltra importante applicazione dellanalisi ben fatta del genoma di una popolazione alla genetica medica.
Il primo stadio della ricerca genetica della causa di una malattia è lidentificazione del gene o dei geni responsabili. Fino a oggi questa ricerca si faceva cercando alberi genealogici di malattie e studiandone tutti i componenti. Ma è stato dimostrato che questo non è il metodo più efficace, soprattutto quando i geni responsabili sono molti e quando vi sono fattori ambientali che incidono, come per le malattie croniche più importanti, dal cancro allartrite, alle cardiopatie e alle psicopatie. Cè allora un metodo più semplice ed efficace: ottenere campioni del DNA di pazienti affetti dalla malattia, interessati a dare il loro DNA, e confrontarli con il DNA di individui normali che abbiano la stessa origine geografica ed etnica.
Le raccolte sistematiche del DNA della popolazione possono fornire il campione di individui normali, i cosiddetti «controlli», più difficili da ottenere del DNA dei malati veri e propri.
*Professore Emerito
di Genetica,
Stanford University, CA
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