Roma Si ricomincia. D’altra parte, che fosse solo «questione di tempo» Berlusconi l’aveva ripetuto anche nei giorni scorsi. Così, dopo la tregua elettorale, ai casi Bertolaso e Verdini segue il caso Scajola. E l’approccio del premier è esattamente lo stesso: di dimissioni neanche a parlarne, perché - è il senso dei suoi ragionamenti fatti durante la giornata - non faremmo che aprire quella breccia in cui spera di affondare i colpi chi è dietro tutto questo. Insomma, «vorrebbe dire stare al loro gioco». E spianare la strada a quello che Berlusconi non esita a chiamare «accerchiamento mediatico-giudiziario».
D’altra parte, ripete il Cavaliere in privato, non si vede perché Claudio debba dimettersi quando non c’è né un’inchiesta né un avviso di garanzia, come se ora i giornali fossero diventati titolari dell’azione penale... Anche se, è il suo timore, forse qualche leggerezza è stata commessa e le cose potevano esser fatte in modo diverso. Ed è possibile sia anche per questo che in Consiglio dei ministri c’è chi ha l’impressione che il premier sia un pizzico irritato. Davanti agli altri ministri è Scajola a parlare di «una vicenda paradossale» che «mi colpisce sul piano personale». Con Matteoli che lo invita a «seguire la coscienza» e «rispondere colpo su colpo». Tacciono tutti gli altri. Il Cavaliere, comunque, è deciso ancora una volta a fare quadrato, perché non considera un caso il fatto che nel mirino sia finito proprio il titolare di uno dei dicasteri più pesanti, visto che lo Sviluppo economico gestisce partite decisive come la politica industriale e quella energetica. Colpire Scajola - ragiona Berlusconi - significa colpire tutto il governo.
Il punto, insomma, è che il premier interpreta il nuovo fronte come la riapertura delle ostilità da parte di chi punta a destabilizzare maggioranza e governo. Che ora potrebbe trovare un valido alleato in Fini. Non è una coincidenza che mentre l’opposizione inizia a chiedere un chiarimento in Parlamento per Scajola, Bocchino fa sapere che d’ora in poi i finiani dovranno essere convinti su ogni voto. Non certo una novità, visto che - dice ai suoi il Cavaliere - la «guerriglia parlamentare» è già iniziata.
Il premier cita gli emendamenti al dl incentivi che il presidente della Camera ha deciso di dichiarare inammissibili. Ci ha fatto un danno gravissimo - dice - anche perché molti raccoglievano le richieste che arrivavano dalla Confindustria. Così, anche se in Consiglio dei ministri dice di non aver mai definito Fini «un traditore» come hanno riportato i giornali in questi giorni, è chiaro che dell’ex leader di An non si fida più. Anche perché ormai non passa giorno senza che lui o Bocchino non siano in tv con distinguo (il primo) o veri e propri affondi (il secondo).
Una situazione che Berlusconi non tollera più, tanto che decide di affidare un messaggio audio al sito dei Promotori della libertà della Brambilla. Incipit eloquente: «Temo che la grande enfasi data da tv e giornali alle chiacchiere della politica politicante abbia potuto distrarre l’attenzione da ciò che di importante sta realizzando il governo». Dove «chiacchiere» e «politica politicante» sono ovviamente riferite a Fini, tanto che il premier dice chiaro che «è il partito che deve occuparsi del dibattito al proprio interno» e «non certo il presidente del Consiglio». Parla anche del futuro («non ho dubbi sulla stabilità del governo per i prossimi tre anni»), di riforme («quella della giustizia sarà dalle fondamenta partendo dai nove milioni di cause penali e civili pendenti») e tasse («appena si consolida la ripresa taglieremo le migliaia di leggi del fisco italiano e vareremo finalmente un unico codice che permetta di ridurre ancora il peso delle tasse sui cittadini»).
Sul fatto che il tira e molla con Fini andrà avanti, però, non c’è alcun dubbio, tanto che in Consiglio dei ministri Berlusconi ricorda come Prodi abbia retto quasi due anni con due soli senatori in più. Ed è soprattutto per questo che si sta studiando il modo per controllare meglio la pattuglia dei deputati, visto che alla Camera la maggioranza è andata sotto troppo spesso anche prima del redde rationem con Fini.
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