nostro inviato a Rieti
Una giornata all’insegna del buonumore, rassicurando la folla riunita prima a Rieti e poi a L’Aquila sul fatto che no, «a mollare», proprio non ci pensa. Pure con due o tre minuti di raccoglimento in ginocchio nella cripta del 1100 della cattedrale di Rieti. Tra qualche battuta («Una chiesa bellissima - dice ridendo al vescovo - dovessi risposarmi lo farei qui. E così domani arriva un’altra cartolina a Repubblica senza avvisarmi») e una promessa: «Mollare? Non ci penso proprio». Solo a tarda sera, chiuso il comizio a L’Aquila, un giramento di testa e poi un malore, che l’hanno costretto a prolungare la sosta fino a tarda notte.
Ma che, incidenti di percorso a parte, in questi giorni di campagna elettorale Silvio Berlusconi stia maturando l'idea di tirare dritto per la sua strada, anche dovesse arrivare fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2011, lo si coglie soprattutto quando sul conflitto d'interessi dà una risposta laconica: «È una legge per impedirmi di ricandidarmi premier».
Insomma, non solo «contro il capo dell'opposizione» come ha più volte detto, ma anche per impedirgli di tornare a correre per Palazzo Chigi. E a chi gli chiede conto delle aperture di Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini a discutere su eventuali modifiche al testo della maggioranza, la replica è categorica: «Non sono d'accordo sul fatto che questa legge, così come è stata costruita, possa essere emendabile. E poi una legge c'è già e si chiama legge Frattini. Ha funzionato benissimo per tanti anni».
Sull’argomento torna anche più tardi, intervenendo davanti agli esponenti di Forza Italia riuniti nel palazzo del Comune: «Cercano di farmi fuori in tutti i modi. Non ci sono riusciti né con il voto, né con i processi, perché per fortuna esistono anche magistrati saggi che si sono fermati davanti all'ineluttabilità delle prove. Così, ora provano a farmi fuori per legge. Prima con una legge ammazza Silvio e poi con una ammazza Mediaset». Tanto che prima di iniziare il comizio a favore del candidato sindaco del centrodestra Giuseppe Emili, si ferma dietro una cancellata e la butta lì: «C'è in giro chi mi vorrebbe vedere così: dietro le sbarre. Ma c'è anche tanta, tantissima gente che mi dice di non mollare e mandare a casa Prodi».
Il Cavaliere parla anche di Rai, che «è sempre stata considerata dai partiti come la loro protesi». E attacca: «È piena più che di raccomandati, di fratelli, sorelle, cugini, parenti e affini dei protagonisti della vecchia e nuova politica». Insomma, l'ipotesi di un comitato di saggi per la tv pubblica è «impraticabile». E poi, ripete nell'intervento al palazzo del Comune, «l’obiettivo di questa sinistra è prendersi anche la Rai». Per questo «stanno cercando di cacciare Petroni» e vogliono anche «mandare via Bruno Vespa».
L’ex premier torna anche a prima delle elezioni, ricorda «i dieci errori capitali» che hanno portato alla sconfitta («ma non per colpa di Forza Italia») e parla pure del '96 («quando gli alleati mi costrinsero ad andare alle elezioni anche se non volevo»). Poi una battuta anche per Antonio Tajani, capogruppo azzurro al Parlamento europeo (che «è stato uno dei fondatori di Forza Italia») e un saluto al coordinatore del Lazio Francesco Giro, seduto in prima fila.
Pure sulle larghe intese, a differenza di altre volte, Berlusconi non pare lasciare spiragli: «Non mi sembra che si stiano prefigurando. Anche perché il modo di comportarsi di questa sinistra è sotto gli occhi di tutti. Prima dicono di voler guardare al nemico come un avversario e subito dopo il giornale ufficiale dei Ds mi chiama mafioso e usa un linguaggio violento». Glissa, invece, sulla polemica tra Romano Prodi e il presidente della Camera Fausto Bertinotti sui lavori parlamentari. «Non commento - dice - immagino solo che se certe cose fatte e dette dalla sinistra mi fossi permesso di farle io chissà quali cataclismi». Attacca sulla famiglia: «È quella tra uomo e donna che si uniscono per procreare, il resto sono matrimoni di serie C». Affonda sulle due sinistre, «quella che si dice moderata e quella radicale. Sono come i ladri di Pisa - dice - che litigano di giorno e rubano insieme di notte».
Poi chiusura in chiave calcistica, perché «la finale di Champions ad Atene» tra il Milan e il Liverpool «sarà un atto di grande campagna elettorale». Soprattutto se dovesse vincere la coppa dei campioni «una squadra italiana». Sono passate le sette di sera quando il Cavaliere lascia Rieti per L'Aquila. Altro comizio.
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