Roma - Il Senato è andato, oggi toccherà alla Camera e finalmente si potrà fare lo sprint finale sulla squadra di governo. Non che le votazioni per le presidenze dei due rami del Parlamento fossero in discussione, ma è chiaro che più caselle si sistemano e meno variabili entrano in gioco. Anche perché, spiega un papabile ministro, «le biglie continuano a ruotare», soprattutto intorno al nodo Giustizia. E che Silvio Berlusconi stia dedicando le sue giornate - e soprattutto le serate - a cercare di trovare la quadra lo si capisce anche dalla sua prima sortita alla Camera da presidente del Consiglio in pectore poco dopo le nove e mezza di mattina. È della squadra di governo, infatti, che parla il Cavaliere. Per confermare, se mai ve ne fosse stato bisogno, la sua totale fiducia verso Gianni Letta, «l’unica persona davvero indispensabile a Palazzo Chigi». È stato lui, spiega, a chiedere di non fare il vicepremier perché avrebbe avuto meno margini di manovra e dunque «sarà sottosegretario alla presidenza del Consiglio con tutte le deleghe». Insomma, «nessuna diminutio», anzi Letta è «un regalo di Dio agli italiani». Accanto a Berlusconi premier, dunque, «non ci saranno vice» ma solo un sottosegretario alla presidenza.
Il Cavaliere, poi, rintuzza le pressioni della Lega e soprattutto di An che chiede un ministero in più o, in alternativa, un viceministro di peso. E per farlo sottolinea come nel successo di Gianni Alemanno a Roma sia stato determinante il ruolo di Forza Italia. Oltre che al neosindaco, dice, «la vittoria la dobbiamo a Francesco Giro (coordinatore azzurro del Lazio, ndr), a Forza Italia e alle 19 interviste che ho fatto in questi giorni». Insomma, la presa del Campidoglio non legittima cambi di equilibri all’interno della squadra di governo. Anche perché, se così fosse, «potremmo chiedere noi...». E anche sulla Lega è tranchant. «Cos’è - dice in Transatlantico rivolto ai cronisti - questa storia che ho letto sui giornali di Rosy Mauro al Welfare? Ma siete usciti di senno...».
Al di là delle dichiarazioni di circostanza - «problemi non ce ne sono» - è però chiaro che la partita del governo resta delicata. E non potrebbe essere altrimenti, visto che rispetto al passato il numero di poltrone disponibili a soddisfare aspirazioni più o meno legittime si è quasi dimezzato: dalle 102 del governo Prodi alle 60 previste dalla Bassanini. Ma Berlusconi non ha alcun dubbio: il bandolo della matassa si troverà presto, «credo che il governo giurerà tra il 9 e il 10 maggio». Un timing confermato anche da Giorgio Napolitano. «Penso di iniziare le consultazioni - spiega da Graz - il 6 pomeriggio». Il presidente della Repubblica, poi, ha parole di eleogio per il discorso di insediamento alla presidenza del Senato di Renato Schifani: «Gli ho dato un’occhiata e ho letto anche la bozza dell’intervento di Fini (che oggi sarà eletto presidente della Camera, ndr). Sono molto misurati e preoccupati di contribuire a un clima di dialogo e confronto».
A via del Plebiscito, intanto, in queste ultime ore si sta iniziando a ragionare anche sul fronte della comunicazione. Che, se Paolo Bonaiuti dovesse diventare ministro per i Rapporti con il Parlamento, rimarrebbe sostanzialmente in carico a lui. Si sta ragionando, però, su una squadra che segua passo passo Palazzo Chigi, congiunta Forza Italia-An sulla falsa riga del tavolo elettorale che più volte si è riunito a Palazzo Grazioli durante la campagna elettorale. Riunioni a cui partecipavano, oltre a Bonaiuti, Andrea Ronchi, Fabrizio Cicchitto, Piero Testoni, Italo Bocchino e Mara Carfagna. E proprio a lei - giovane e di presenza - Berlusconi starebbe pensando in queste ore per il delicato incarico di portavoce di Palazzo Chigi.
Il Cavaliere, poi, torna sul nodo Alitalia. E evoca un ritorno nella mani dello Stato della compagnia di bandiera. Se l’Unione europea, dice, «si mette a zignare, allora potremmo prendere una decisione, per cui Alitalia potrebbe essere acquistata dallo Stato, dalle Ferrovie dello Stato». Più che una decisione, come spiega lo stesso Berlusconi, si tratta di «una minaccia», di un avvertimento a Bruxelles. Il primo ministro in pectore, infatti, è intenzionato ad «andare avanti con questa compagine di azionisti» che si stanno facendo avanti. Ma «abbiamo bisogno di un’Europa che ci aiuti e non che metta in difficoltà chi governa».
Infine, uno sguardo al futuro: «Abbiamo una responsabilità
enorme, che ci onora e che ci impensierisce perché la situazione è difficile, la più difficile dal dopoguerra ad oggi». Ma ciò non toglie, aggiunge, che «faremo di tutto per far tornare il Paese sul cammino dello sviluppo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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