nostro inviato a Bruxelles
Silvio Berlusconi sceglie la via del silenzio. Dentro il palazzo di Justus Lipsius dove si tiene la riunione del Consiglio Ue ma anche fuori, quando incrociando in più duna occasione i giornalisti si limita ad un ascetico «governare non è dichiarare». Quasi un motto jedi che, certo, stride un po con limmagine di chi in questi anni ha rivoluzionato il modo di comunicare della politica italiana. Il segnale, però, che la partita sulla Libia è quanto mai delicata. Tanto che il Cavaliere sceglie, piuttosto inusualmente, di rimanere sotto traccia anche nel giorno in cui potrebbe facilmente intestarsi la decisione di passare alla Nato il comando militare delle operazioni. Un cambio di rotta su cui il premier prima e ancora ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini avevano puntato molto per ridimensionare lattivismo di Parigi e Londra.
E la via del silenzio è dettata soprattutto da ragioni di prudenza e di realpolitik. Che durante la riunione dei 26 consigliano a Berlusconi di evitare di dire a Nicolas Sarkozy cosa pensi della posizione francese rischiando di sfiorare la crisi diplomatica. Una linea che secondo il premier è infatti dettata esclusivamente da ragioni di politica interna in vista delle prossime presidenziali del 2012 e dal tentativo di mettere economicamente le mani sulla Libia. Daltra parte, non è un mistero che sia lItalia il Paese con le maggiori commesse petrolifere in terra libica e che Sarkozy voglia far rientrare la Francia nella partita proprio a danno nostro. Parigi, è il senso dei ragionamenti privati di Berlusconi, sta facendo solo «la politica della bandierina». Per puntare al petrolio nel dopo Gheddafi. Un comportamento «scellerato» e, è la convinzione di tutta la diplomazia italiana, di «grande scorrettezza» proprio nei confronti dellItalia che di quelle commesse è il primo beneficiario. Una partita da giocare quindi in punta dei piedi, con il premier insolitamente taciturno e con Frattini in prima fila a cercare di «stoppare» le mire di Parigi. Tanto che quando Sarkozy annuncia unimminente «iniziativa politico-diplomatica» franco-britannica sulla crisi libica la replica della Farnesina è - almeno secondo i felpati canoni della diplomazia - durissima: «Anche lItalia ha le sue idee e le sue proposte. E le farà valere nelle sedi opportune e nei prossimi appuntamenti discutendole con i nostri partner». Se non è uno stop poco ci manca. Segno che nonostante il silenzio del Cavaliere il governo non resta comunque alla finestra. Ed è in questottica che va letta la nota di apprezzamente di Palazzo Chigi verso il lavoro di Frattini e Roberto Maroni.
Così, anche in pubblico Berlusconi preferisce non esporsi. E lo fa nonostante la buona notizia del passaggio delle operazioni sotto la Nato (anche se sul punto la Francia fa ancora molte resistenze), un successo che non avrebbe difficoltà ad intestarsi almeno in parte visto che lItalia sul punto non ha avuto esitazioni. Si limita a un «sono assolutamente soddisfatto». Perché in prospettiva il Cavaliere sa che la partita è ancora lunga. E per giocare il secondo tempo, quello in cui magari torneranno al lavoro le diplomazie, è bene stare sotto traccia oggi. Daltra parte, non è un mistero che quando è scoppiata la crisi libica sia Barack Obama che Ban Ki Moon, il segretario generale delle Nazioni Unite, abbiano chiamato per primo proprio Berlusconi invitandolo a tentare una mediazione. Certo, oggi lo scenario è cambiato perché Gheddafi non nasconde di sentirsi «tradito» dalla posizione italiana ma non è escluso che fra qualche tempo, magari inisieme a organismi multilaterali come Lega Araba e Unione Africana, il Cavaliere possa giocare un ruolo di primo piano.
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