Roma - Dopo un sabato romano nel castello di Tor Crescenza, fatto di calma, riflessione e paesaggi bucolici, una domenica milanese «di contatti e di lavoro». Villa Certosa, in Sardegna, può attendere. Lo strano weekend del Cavaliere, racconta chi ci ha parlato, ruota tutto su un punto: come rimettere in riga il partito e la maggioranza. Sono bastate infatti 24 ore e la minaccia delle elezioni anticipate per cambiare radicalmente lo scenario: il problema principale non è più lo spettro di un governo di transizione, ma la guerra a bassa intensità che attraverso fondazioni e correnti si stanno combattendo capi e capetti del Pdl.
«Basta, è ora di farla finita, ognuno pensa a se stesso e nessuno si preoccupa del bene della coalizione», così si è più volte sfogato in queste ore. E oggi Silvio Berlusconi avrà un paio di occasioni per riprendere pubblicamente l’argomento. In mattinata visiterà infatti la sede dell’università telematica eCampus a Novedrate, vicino Como, e incontrerà professori e studenti. E in serata, sette mesi dopo l’aggressione a colpi di statuetta del Duomo con la Madonnina, tornerà in Piazza Duomo per ricevere, insieme a don Luigi Verzè, il premio Grande Milano come «statista di rara capacità». Dopo la cerimonia, Berlusconi sarà l’ospite d’onore del concerto di Charles Aznavour sulla terrazza della cattedrale.
La carne sul fuoco non manca. Ieri mattina il Cav ha letto con attenzione e con umori contrastanti l’intervista di Giulio Tremonti a Repubblica. Da un lato, dopo avergli blindato la manovra con la fiducia, ha incassato con soddisfazione il no ufficiale del principale candidato a una sua successione alla guida di un governo tecnico di emergenza, con tanto di corollario di giuramento di fedeltà al presidente del Consiglio e di affettuosità con Gianni Letta. Dall’altro, qualche sospetto resta: perché il ministro dell’Economia ha parlato con il «giornale nemico»? Perché ha contrapposto la velocità della manovra finanziaria con le lentezze e le difficoltà che incontra la legge sulle intercettazioni, definita «il bavaglino»? Perché ha accennato alla questione morale, tema caro ai finiani? Non sarà, nonostante le smentite, una candidatura mascherata?
Ma non è solo Tremonti il cruccio del premier. C’è anche Fini, ovviamente, e il dubbio se cercare di «chiuderlo» in un accordo o, piuttosto, andare alla rottura. E ci sono i fermenti, troppi, del Pdl, con il proliferare di fondazioni e le richieste di cambiare i vertici: uno, due, tre coordinatori? I problemi sono connessi tra loro e complicati dalle inchieste giudiziarie che hanno toccato personaggi dell’inner circle di Palazzo Grazioli. Così, mentre il gruppo di Liberamente - Frattini, Gelmini, Prestigiacomo, Carfagna - vuole la testa di Verdini, la vecchia guardia di Cicchitto, Bondi, Gasparri, La Russa, Quagliariello resiste: se cediamo su questo, ragionano, finiremo a cedere a Fini su tutta la linea.
D’altro canto è lo stesso Letta che spinge Berlusconi a trovare un’intesa con il presidente della Camera. Ma un accordo significa andare a toccare l’architettura del governo.
La verifica è già cominciata ma può finire subito. Il Cav, che si è stufato del «teatrino», sembra intenzionato a mettere le briglie alle correnti. Del resto, può esistere un Pdl senza Berlusconi?
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