Bersani «decapita» Rai3, il Pd accusa il premier

In queste ore bisogna immaginarsi Antonio Di Bella sentirsi tacciare come il simbolo dell’«epurazione di regime», prossimo protagonista dello «smantellamento della tv pubblica a favore di Mediaset», ultimo killer della «libertà di informazione». Bisogna immaginarselo perché lui, ex direttore del Tg3 oggi in pole position per sostituire Paolo Ruffini alla direzione di RaiTre, militante alla Santoro magari non lo è stato mai, lo descrivono come più «pragmatico», ma che sia un giornalista di «area» centrosinistra è indubbio. Non fosse altro che furono proprio i dalemiani a fare il suo nome per la terza rete, o in alternativa quello di Giovanni Minoli, che pure a maggio andrà in pensione, e che infatti è nella «rosa» dei papabili.
E il punto è proprio questo. Era il luglio scorso quando incominciò il giro di valzer delle nomine Rai. Sulla conferma o meno di Ruffini, il Pd fece calare un imbarazzato silenzio. Perché Dario Franceschini era per il sì, mentre i dalemiani, sponsor di Pierluigi Bersani, erano per il no. Ergo: piazzata (ancora dai dalemiani) Bianca Berlinguer al Tg3, le sorti della rete hanno dovuto attendere l’elezione del nuovo segretario.
I tempi coincidono: l’assemblea nazionale del partito ha ratificato ieri l’elezione di Bersani. Il giorno prima, il direttore generale della Rai Mauro Masi, in un colloquio informale, ha avvertito Ruffini che il cambio al vertice potrebbe avvenire presto, forse già nel consiglio di amministrazione di mercoledì prossimo. L’ordine del giorno della seduta non è ancora pronto, ma le barricate sono già state alzate. Ruffini per primo ha indossato l’elmetto, con un’intervista a Repubblica in cui lamenta: «La mia colpa sarebbe aver fatto nascere prima e tutelato poi programmi come Ballarò con Floris, Che tempo che fa con Fazio, Parla con me con la Dandini». I quali Floris, Fazio e Dandini infatti ieri si sono affrettati a difendere il direttore. Ora. Che il palinsesto ruffiniano al Cavaliere non piaccia non è una novità, lui per primo non ne fa mistero, «le attaccherei volentieri la scarlattina» ha detto a Floris in uno degli ultimi collegamenti telefonici con la trasmissione.
Ma non è una novità neppure, si vocifera nei corridoi Rai, che un cambio al vertice sia opportuno, dopo sette anni di palinsesti immutati, ché gli ascolti, come segnala Ruffini, saranno pure «mai stati in calo», ma la sola novità qui è stato il trasloco di Michele Santoro a RaiDue, visto che per il resto, da Mi manda Rai Tre a Chi l’ha visto ai contenitori firmati Dandini sono addirittura gli stessi della tv di Guglielmi, correvano gli anni fra il 1987 e il 1994. Ma ieri il centrosinistra ha alzato i toni. Le ali «estreme» contro il premier, che non ci sta mai male. I franceschiniani pure, ma parlando a suocera Berlusconi affinché intendesse nuora D’Alema. «La maggioranza di governo, asservita ai voleri del premier-tycoon, su cui grava un conflitto di interessi pauroso, trasforma la tv di Stato in tv di regime» ha tuonato Jacopo Venier, Pdci. «Lo smantellamento sistematico della Rai da parte del centrodestra ha come unico scopo l’indebolimento dell’emittente di Stato a tutto vantaggio delle reti del presidente del Consiglio» ha fatto eco il presidente dei senatori Idv Felice Belisario. «Cancellando l’esperienza di Ruffini verrebbero meno le ragioni stesse del servizio pubblico» ha drammatizzato Paolo Gentiloni, ex ministro franceschiniano.

E poi lui, Dario lo sconfitto sia al congresso sia sul piccolo schermo: «È a rischio la libertà di informazione, la politica difenda l’autonomia della terza rete». Da chi? Forse da Bersani, che infatti alla voce «crociata per Ruffini» risulta non pervenuto.

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