Bertinotti scarica Cofferati e strizza l’occhio a Veltroni

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Luca Telese

da Roma

È esploso un nuovo cortocircuito nella sinistra italiana, una piccola guerra che ha mandato ancora un volta in tilt il rapporto (già pessimo) fra Fausto Bertinotti e Sergio Cofferati. Un cortocircuito che - invece - apre un canale tra Bertinotti e Walter Veltroni. Sul primo fronte scorrono corrispondenze d’amorosi sensi, sull’altro tuoni e saette.
Per capire l’intrico di paradossi in cui si sta avvitando il centrosinistra - e le ormai inevitabili ripercussioni delle gazzarre bolognesi sugli equilibri nazionali -, in fondo basterebbe il colpo d’occhio della carta stampata: il manifesto, che fu il giornale del Cinese ai tempi della direzione di Riccardo Barenghi, ieri titolava «Bologna la rotta», irridendo (addirittura sul filo della volgarità) sugli strappi a sinistra di Sergio Cofferati. E Il Foglio, che ai tempi dell’articolo 18 era decisamente il giornale di Marco Biagi, esaltava il nuovo corso del sindaco di Bologna, sulla falsariga dell’esclamazione scappata al suo direttore, Giuliano Ferrara, quando, nell’ormai storica puntata di Otto e mezzo, gridò: «Caro Cofferati, sono d’accordo con lei al punto che la vorrei ministro dell’Interno!».
Morale della favola: persino i nemici storici e arancioni de Il riformista scoprono Cofferati, mentre la sinistra «orfana» di «Mr. Tremilioni» (San Giovanni, articolo 18) cerca «casa» in Campidoglio. Senza contare che Liberazione, l’organo del Prc, ormai, ha tramutato Bologna in una sorta di cittadella neoliberista e titolava la sua prima intervista al segretario: «Bertinotti critica Rutelli, Spd e Cofferati». Sempre il manifesto, che del kennedismo veltroniano fu un fustigatore, ieri magnificava (anche loro!) il primo cittadino di Roma in addirittura tre pezzi: il primo per esaltare la fiaccolata a favore di Clementina Cantoni, il secondo per criticare le durezze del Cinese ed esaltare il metodo «dialogico» di Veltroni, il terzo, addirittura entrando nel merito del problema abitativo, per dimostrare che, mentre Cofferati condanna i no global, gli «squilli di tromba in Campidoglio» invece annunciano «l’approvazione della delibera sull’emergenza abitativa». E poi giù un discreto panegirico, che mostrava con plastico effetto il sincretismo veltroniano. Il voto - scrive di slancio Alessandro Mantovani - era «salutato dagli applausi degli occupanti delle case che si mescolavano alla fiaccolata per Clementina Cantoni». Come dire: Cofferati tiè. Non basta? No, di più. Ecco di nuovo il parallelo fra i due metodi, ecco un altro lampo sincretico, «In un’aula di piazzale Clodio si discuteva l’appello dei pm Maria Cristina Palaia e Salvatore Vitello, che - critica il quotidiano - insistono per mettere agli arresti domiciliari Nunzio D’Erme, Guido Lutrario e altri quattro». Perfidi pm. Infatti, aggiunge il manifesto, «il 44enne Fabrizio Nizi, uno degli imputati, ha cercato di spiegare ai giudici come e perché in una città come Roma si finisce per occupare un appartamento quando lo stipendio non basta per pagare l’affitto nemmeno nei quartieri popolari dove si è nati e cresciuti. E non ha potuto fare a meno, l’imputato Nizi, di ricordare quanto avveniva in Campidoglio: “La delibera sullle politiche abitative l’abbiamo scritta noi, i senza casa, pensando al diritto di abitare per tutti, anche il vostro e quello dei vostri figli”». Capito la morale? È un processo romano, ma l’imputato, gira e rigira, resta sempre Cofferati che - proprio sull’ordine del giorno sulla legalità - rischia di rompere la sua giunta. Lui condanna i no global, e quelli scrivono le delibere con Veltroni. Ieri - non a caso - fra il Cinese e il segretario di Rifondazione, sono ricominciate le scintille. Bologna si era svegliata con una intervista in cui il segretario di Rifondazione annunciava al Corriere della sera: «Noi quell’ordine del giorno non lo voteremo». Da cui la pronta risposta, in sarcastico stile cofferatiano: «Ho visto che Fausto Bertinotti si è sostituito al partito della Rifondazione comunista di Bologna. Quella che sostiene Bertinotti - ha aggiunto - è una tesi singolare visto che ha già deciso il voto contrario del suo partito di Bologna a un ordine del giorno che non conosce». E il segretario di Rifondazione, ribattendo anche lui il colpo: «Il monarca è una cosa, il sindaco è un'altra. Un sindaco ha il dovere del rispetto delle regole democratiche». Fine della polemica? Macché, nuova replica dell’ex segretario della Cgil: «La monarchia non c'entra.

Se davvero anche Bertinotti pensa che sia decisivo il rispetto delle regole democratiche, deve convincersi serenamente che i programmi si costruiscono insieme, come abbiamo fatto, e una volta condivisi si attuano lealmente». La verità - una volta sopito il valzer delle polemiche - è che a Roma si sta collaudando un modello, e a Bologna un altro. Ma chi dovrà tenerne conto, sarà - ancora una volta - Romano Prodi.

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