Roberto Scafuri
da Roma
Onorevole Fausto Bertinotti, questa sua assenza dallItalia per il primo congresso della Sinistra europea proprio nel giorno delle primarie... Non sembra una rinuncia alla lotta?
«Per carità, le primarie vanno prese sul serio. Tanto che siamo riusciti a spostare il congresso di Atene al 15 ottobre, grazie ai compagni europei...».
Parte in svantaggio, dovrà fare una campagna dattacco.
«Si gareggia tra galantuomini, anche se lavoreremo per raccogliere consensi a largo raggio. Il realismo fa vedere una differenza in partenza. Però la mia idea è quella di caratterizzarmi sul bisogno di partecipazione, sulla grande riforma della politica».
Più concretamente?
«...sullidea che la politica abbia una re-invenzione di sé...».
Meno filosoficamente?
«Punterei sul verbo voglio. Mi piacerebbe promuovere la capacità della gente comune di usare questo verbo, invece di attendersi qualcosa dalla politica. La politica come elargizione, il peggiore elemento inquinante...».
Combattere la passività?
«Sì, operare un ribaltamento. Per caratterizzare lUnione a sinistra bisogna muovere da questa rottura e ricostruirla sul verbo voglio. Il Paese del popolo contro il Paese delle élite».
Il primo slogan. Però sarà difficile proporsi come candidato di tutta lUnione.
«Difatti alle primarie partiamo da un programma comune di fondo e dai principi ispiratori delle differenze. Chi vince guiderà il processo che porterà al programma dellintera coalizione. E io credo che lUnione possa avere una guida a sinistra».
Medierebbe con Rutelli?
«Se fossi scelto dal popolo come guida dellUnione lo farei».
Ma se non condivide neppure gli elogi a Pisanu...
«Pisanu si è mosso in controtendenza rispetto alla sua maggioranza e al clima che ha creato, di canea contro gli extracomunitari e di misure lesive dello Stato di diritto. Saggiamente il ministro ha cambiato la premessa, ma ha mantenuto il veleno nella coda, con questo clima di sospetto nei confronti degli extracomunitari...».
Anche sui Cpt si è notata la differenza tra la sinistra e Fassino.
«Francamente la tesi della chiusura dei Centri è stata avanzata dai presidenti di quasi tutte le Regioni e da tanta parte dellalleanza, che vede il problema nella sua drammaticità. Se i dirigenti non sono capaci di mettersi in ascolto con il loro popolo, con le loro stesse strutture di governo, allora davvero hanno una vocazione alla sconfitta...».
Lei ce lha con Fassino.
«Non cè scontro tra noi e Fassino. Ma il segretario ds, che ha un peso rilevante, prima di pronunciarsi a nome dellUnione dovrebbe almeno censire le sue componenti più rilevanti, se non i suoi stessi uomini di governo locale».
Ma voi non votaste a suo tempo per listituzione dei Cpt?
«Sì. E dopo averne verificato il funzionamento, nel novembre del 2003, alla conferenza di Bologna, facemmo autocritica. Dicemmo: ci siamo sbagliati, è reale il rischio di costituire in questi luoghi delle sospensioni dello stato di diritto intollerabili».
Troppo spirito «bipartisan»?
«Ancora una volta è scattato, sbagliando, il primato dellidea che la collaborazione sia un valore in sé, tipica della cultura emergenzialista cui ci opponiamo».
Avete detto «no» anche alle missioni italiane allestero.
«Lo abbiamo sempre fatto. In Afghanistan la situazione ancora oggi dimostra quanto sbagliato sia stato lintervento. Anche levoluzione di altre situazioni, tipo in Kosovo e in Bosnia, richiedono una revisione...».
Lo chiederete allUnione?
«Non metto il carro davanti ai buoi, non ne abbiamo ancora discusso, avremo tempo per farlo. Il confronto può essere illuminato dalla scelta per lIrak...».
...per il quale Rutelli e C...
«Vedo anchio che cè la propensione del carattere moderato a ostacolare le posizioni unitarie. La stragrande maggioranza dellUnione è contraria a quella guerra e condivide lidea che essa abbia accentuato la minaccia terroristica. Accentuato, non generato. Cito testualmente Prodi, il nostro no non si può neppure mettere in discussione».
Sottobanco lo hanno fatto. Fassino e Rutelli chiedono di diluire i tempi del ritiro.
«Invece questa nostra base comune sarebbe sufficiente ad affrontare il prossimo voto in Parlamento. Dato che il governo chiede la prosecuzione della missione, il no equivale tecnicamente al ritiro delle truppe e non ci sarebbe alcun elemento per dividersi... Si sa che esistono opinioni diverse, dipende da noi accentuarle oppure ridimensionarle. Ma disinnescare la spirale guerra-terrorismo è la condizione necessaria, non sufficiente, per affrontare il problema. Diluendo i tempi del ritiro si accrescono i margini di ambiguità, perché è evidente che la decisione del ritiro immediato contempli già il tempo tecnico per il ritiro, come ha fatto Zapatero. Non è una divisione tra moderati ed estremisti, ma tra chi pensa che la guerra sia un male che può avere effetti positivi e chi ritiene la guerra un male.
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