Bianco, nero o verde, le infinite vie del tè

Per alcuni la vita è un tè nel deserto, per altri un tè al Ritz. Nessuno, però, almeno per un certo periodo dell’esistenza, è mai sfuggito al celeste fascino del tè. Diceva un poeta dell’epoca Tang, così ben citato da Guido Ceronetti (gran cultore di tè, tanto che ci fa saltare in padella patate, carote e broccoli, usandolo al posto dell’olio e del burro): «La prima tazza m’inumidisce la gola, la seconda consola la mia solitudine, la terza traccia nei miei visceri migliaia di strani ideogrammi, la quarta mi procura una leggera traspirazione e tutta l’ingiustizia della vita se ne va attraverso i miei pori...» e alla settima tazza era il Paradiso.
Oggi non arriviamo più a simili raffinati compendi di sensazioni - ahinoi, qualcosa dev’essersi perduto forse per sempre nel nostro spirito - ma è certo che, dopo l’acqua, il tè è la bevanda più consumata al mondo, Italia esclusa. Già, siamo proprio indietro a proposito. Tuttavia, guadagniamo terreno. Le importazioni negli ultimi tre anni sono aumentate del 30 per cento e siamo arrivati a un consumo di 80 grammi a testa, ancora basso rispetto a quello conteggiato in chili di Inghilterra e Irlanda, ma vuol dire che qualcosa si muove.
E se un decennio fa i negozi dedicati alla vendita di tè sfuso («L'unico tè degno! - ci hanno confermato molti addetti ai lavori. Nelle bustine troviamo solo polvere di tè, e tè dei peggiori!») si potevano contare sulle dita di una mano, oggi, invece, il loro elenco occupa qualche pagina, e non solo riguardo a Milano o Roma. E un mese e mezzo fa a Roma è stato aperto, nel quartiere Monti, dai proprietari dello storico negozio «Il giardino del tè», addirittura un ristorante ad hoc: «Tavola con tè», luogo di sperimentazioni culinarie legate a doppio filo con la celeste bevanda. «È un piccolo spazio - ci racconta la proprietaria Carmen - dove si può pranzare e cenare con pietanze sia dolci che salate che hanno come base il tè. Per esempio in questa stagione presentiamo, oltre al famoso tiramisù con il tè matcha, il tè giapponese della cerimonia del tè, per intenderci, anche un piatto di bresaola di cavallo con fichi e una vinaigrette fatta con il tè affumicato Lapsang Souchong, uno tra i tè più poetici ed evocativi. Poi ci sono le tartellette di pere e cioccolato, quest’ultimo, ovviamente, aromatizzato con tè tchai. Anche per il tè delle cinque, abbiamo fatto scelte eccentriche: con il tè si possono prendere paste brisé di salmone, con le sue uova e la panna acida. In generale, ci teniamo lontani da qualsiasi tentazione indiana o britannica, leghiamo il tè ad alimenti italiani».
Per questa strada, il tè si incammina a diventare bevanda da intenditori, con tutto l’appeal che questo passaggio porta con sé: «Un amico giapponese - racconta il celebre gastronomo Allan Bay in una sua pagina - che si perdeva dietro l'infinita varietà dei nostri vini e che io prendevo garbatamente in giro, mi chiese quale tè bevessi e quanti ce ne fossero. Risposi che prediligevo il tè al gelsomino, e lui storse un po' il naso, e che non sapevo quante decine di tè ci fossero. Con compatimento mi fece notare che quando censirono per la prima volta in Cina i tipi di tè, oltre mille anni fa, ne contarono più di duemila... Dopo erano aumentati, aggiunse con nonchalance. Fu un primo incontro col magico mondo del tè, cui ora riconosco pari dignità col magico mondo del vino».
Non è peregrino come paragone. In linea di massima i tè possono dividersi in quattro grandi segmenti: i neri, la cui foglia subisce una fermentazione, i verdi, le cui foglie vengono asciugate ma senza lasciarle fermentare, i bianchi, di cui si raccolgono soltanto i primi germogli della pianta, e gli oolong, i semifermentati. In Italia sono tutti importati, perché sul nostro territorio, eccetto in un piccolo angolo di Toscana, non si coltiva la Camellia Sinensis, la pianta del tè, che può, anzi deve essere coltivata ad alte quote, come i 1700, 1800 metri, ma a patto che siano paesaggi rigogliosi e con il clima giusto. Ad ogni modo, da queste quattro tipologie ne derivano altre mille, «poiché - ci racconta Luisa Fabbi, titolare dello storico “L'essenza del thè” a Milano, nonché tra le più ricercate importatrici di tè in Italia - come il vino il tè cambia le proprie qualità organolettiche a seconda del luogo dove cresce. E cambia persino il modo di confezionarlo: i cinesi appallottolano le foglie di tè, le schiacciano, spesso le avvolgono in carta di riso, i giapponesi, invece, le conservano al naturale. Il mercato mondiale del tè è degno di un romanzo: alcuni vanno importati direttamente, tra fatiche e burocrazie di ogni genere, io per esempio importo alcuni oolong da Taiwan in questo modo, altri tè, invece, si possono acquistare da grandi importatori, per esempio in Germania ci sono aziende che esistono dalla metà dell'Ottocento e che nel tempo sono diventate anche proprietarie di piantagioni. Da dire che i tè aromatizzati sono un'invenzione europea, eccetto alcune tipologie cinesi alla rosa, all'orchidea, al gelsomino, ma solo fiori. I più salutari, alcuni con incredibili qualità antivirali e antitumorali, rimangono quelli puri: io mi procuro direttamente alcune varietà come il Tribute West Lake Longjing, un tè verde, il King Oolong, il King White, il King White Jasmin, l'Ariake. Tutti presentano moltiplicate per tre o quattro volte, dati scientifici alla mano, le qualità degli altri tè». Ma il tè è più uomo o più donna? «Più uomo - ci risponde Luisa -. Le donne sono attirate dagli oggetti intorno al tè, le teiere, gli infusori, i mug, alcuni zuccheri come l'accroche coeur.

Mentre gli uomini bevono il tè per il tè».

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