Bini Smaghi lascia la Bce e vola verso Harvard

Sono le 18 quando lo psicodramma improvvisamente si scioglie. Sul sito Internet della Banca centrale europea appare un comunicato di poche righe ma di grande peso. Lorenzo Bini Smaghi si dimette dall’istituto di Francoforte. Se ne va, libera quel posto nel comitato esecutivo dell’Eurotower che Nicolas Sarkozy reclamava per la sua Francia.
Ora che su Palazzo Chigi incombe l’ombra di un tecnocrate come Mario Monti, il nobile banchiere fiorentino decide che è arrivato il momento di togliere l’incomodo e risolvere subito un problema al probabile prossimo presidente del Consiglio. Che, come da varie parti si sussurra, potrebbe addirittura inserirlo nella lista dei ministri. Allo Sviluppo economico, se non al posto di Tremonti.
Se finora Bini Smaghi non aveva dato le dimissioni tanto attese, era stato perché non aveva trovato una collocazione adeguata al suo rango. Finalmente ha trovato qualcosa che faceva al caso suo: una cattedra all’università statunitense di Harvard. Dal 1° gennaio prossimo entrerà nel Centro per gli affari internazionali di quell’ateneo, uno dei più prestigiosi al mondo. Non abbandonerà subito Francoforte: lo farà alla vigilia di Capodanno. Il suo mandato di otto anni scadrebbe il 31 maggio 2013, l’addio avviene con un anticipo di 17 mesi.
«Il presidente Mario Draghi ringrazia calorosamente Bini Smaghi per il suo contributo», si legge in una nota della Bce dopo le dimissioni del consigliere esecutivo italiano. E ancora: «In tutto il suo mandato, inclusa la sua decisione, egli ha sostenuto l’indipendenza della Bce». I vertici della Banca europea vengono nominati dai politici, ma non devono rispondere loro del proprio operato. Nessuno può imporre le dimissioni, nemmeno ragioni di opportunità internazionale.
Queste ragioni erano state invocate dal presidente francese al momento di approvare la candidatura di Draghi alla guida della Bce. Draghi ha sostituito un francese, Jean-Claude Trichet, e senza le dimissioni di un consigliere esecutivo Parigi sarebbe rimasta priva di rappresentanza nel board dell’istituto. Silvio Berlusconi aveva cercato di convincere il banchiere toscano a piegarsi alla ragion di stato: invano.
Bini Smaghi avrebbe gradito il posto di governatore di Bankitalia, scambiandosi con lo stesso Draghi, ma la scelta è caduta su Ignazio Visco, il vicedirettore generale di Via Nazionale. Il banchiere intestardito aveva irritato Sarkozy. Si era creato un caso diplomatico. I francesi non potevano tollerare la loro esclusione dalla stanza dei bottoni di Francoforte e la contemporanea presenza di due italiani. La tensione aveva irrigidito i rapporti tra Roma e Parigi, fino al culmine delle risatine tra Sarkozy e la cancelliera Angela Merkel al Consiglio europeo.
Ora la querelle si chiude, l’impasse è superata, la grandeur ha trovato soddisfazione e all’Eliseo si potrà tornare a dormire sonni tranquilli. Ma se tutto ciò fosse avvenuto un paio di settimane fa forse non sarebbe stato così plumbeo il clima di sfiducia addensatosi nel frattempo sull’Italia. L’Europa ci rimprovera la mancanza di credibilità: proprio questo veniva rimproverato a Berlusconi.
Non era mai accaduto che nel board esecutivo della Bce sedessero due rappresentanti dello stesso Paese. Era nell’ordine delle cose che il consigliere dovesse lasciare. Ma in sei mesi (Draghi è stato designato lo scorso maggio) all’economista toscano di nobili origini non erano state offerte alternative che egli ritenesse alla sua altezza.
Bini Smaghi era stato perfino ricevuto al Quirinale il 28 ottobre scorso. Aveva resistito anche al presidente Giorgio Napolitano.

Il quale ieri, in una nota, si è premurato di comunicare che il banchiere «si è dimesso in piena libertà e dando prova di assoluto disinteresse personale». Il capo dello stato manifesta poi «l’apprezzamento del Paese per il senso di responsabilità e di lealtà anche verso l’Italia che si esprime in questo suo gesto».

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