«Bombe sulla Scala» E la ricostruzione è diventata un giallo

C osa c’entra l’arte con la parabola del buon samaritano? Provare a rileggere la Bibbia pensando all'accoglienza e alla condivisione all'interno di un carcere? La risposta è in una mostra inaugurata presso la Galleria San Fedele con le opere di artisti e detenuti, nella collettiva dal titolo: «E si prese cura di lui». Elogio dell'accoglienza, curata da Andrea Dall'Asta e Gigliola Foschi. L'idea è nata durante un corso di fotografia che i curatori e Donatella Occhibianco hanno tenuto nella Casa Circondariale di San Vittore a Milano lo scorso anno. I temi dell'accoglienza del diverso, dello straniero, dell'emarginato si sviluppano da un punto di vista religioso, e sono stati affrontati dai carcerati in prima persona, attraverso un laboratorio teatrale: «La parabola di San Martino, la lezione del buon samaritano, la potenza della Pietà, - commenta Andrea Dall'Asta - sono storie che svelano un aspetto originario della vita. L'accoglienza e il prendersi cura dell'altro sono atteggiamenti irrinunciabili per un dialogo con il mondo». Dalla lettura al commento del Vangelo di Luca e con grande attenzione nella regia, non potendo mostrare l'interno del carcere, le foto svelano dettagli e volti irriconoscibili, dando voce a chi non ha voce. «I detenuti, - continua Dall'Asta - si sono fatti personaggi e come dentro allo psicodramma, hanno provato a vestire loro panni di chi accoglie ed è accolto... È un lavoro in cui, partendo dalla loro realtà di rifiuto ed esclusione dalla società, hanno riflettuto sulla vita: un ragazzo, per esempio, si sentiva a disagio nell'interpretare Cristo, perché diceva di aver sempre vissuto all'opposto».
Tra le opere ci sono anche due maestri del passato, le due incisioni di Rembrandt e Rouault che raccontano di come Cristo abbia scelto di morire per la vita degli altri, tra i lavori più recenti invece diversità e rifiuto sono visti in chiave sia religiosa che sociale: l'installazione di Wolf riflette sull'accoglienza nelle varie culture straniere, il lavoro di Isabella Balena mostra la trasformazione delle zone di visita di alcune carceri in stanze più simili alla «casa», la pietas di Letizia Battaglia ricorda quanto grande sia l'accogliere il dolore dell'altro.

E poi ci sono le fotografie dei carcerati, scatti con pochi colori o in bianco e nero, rielaborate poi insieme ai docenti nel corso del laboratorio, con particolare attenzione al valore della luce e ripensando un po', come nel film Dogville di Lars Von Trier, ad atmosfere surreali ed essenziali.
via Hoepli 3, Milano

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