Bonifiche, ora spunta la ’ndrangheta

Il pool di magistrati al lavoro sul caso Santa Giulia si allarga: tra questi anche un magistrato dell’antimafia È il pm che ha arrestato la cosca calabrese per il racket del movimento terra. Ieri altro interrogatorio per Grossi

Non solo riciclaggio. Non solo fondi neri ed evasione fiscale. Non solo corruzione. Nell’inchiesta sulla bonifica di Santa Giulia si sta aprendo un capitolo ancora più allarmante. È un’ipotesi di smaltimento illegale di rifiuti tossici. E, soprattutto, è l’ombra della criminalità organizzata che si allunga sull’intera vicenda. Per questo, la procura si sta organizzando.
Ai due pm titolari dell’inchiesta, Laura Pedio e Gaetano Ruta, si sono infatti aggiunti altri due magistrati. Con due compiti diversi. Il primo, Frank Di Maio, dovrà accertare se i materiali inquinanti scaricati nel corso degli anni nei terreni di Rogoredo dalla Montedison non siano ancora sotto Santa Giulia. C’è poi un quarto pm chiamato a unirsi al pool. Appartiene alla Direzione distrettuale antimafia, e ha lavorato a un’inchiesta sulle aziende di movimento terra legate alla ’ndrangheta, e che operavano in Lombardia. Quell’indagine, poche settimane fa, ha portato all’arresto di 17 persone legate alle cosche dei Barbaro e Papalia. È il business degli scavi e dello smaltimento dei rifiuti. È il «controllo - scrive il gip Giuseppe Gennari nell’ordinanza di custodia cautelare del 26 ottobre scorso - dell’attività di “movimento terra” nella zona sud ovest dell’hinterland milanese». Sono i camion che partono dai cantieri e scaricano nelle cave lombarde, e non solo.
Gli investigatori stanno cominciando a seguire le tracce di quei convogli. Una di queste, porta a una discarica del vercellese, aperta da una delle società (la «Aimeri») di Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche finito in carcere e ieri nuovamente interrogato per diverse ore dai pm. Una discarica che, fatto strano, si trova nella riserva naturale di Baragge, in Piemonte. In quei terreni sarebbe stata scaricata parte dei materiali di scavo provenienti da Santa Giulia, grazie a viaggi notturni (con una cinquantina di mezzi) organizzati da una società di trasporti in odore di mafia. Risultato, sottosuolo contaminato da Ddt. Ma è solo uno dei siti nel mirino di pm e Guardia di finanza. Di cave, in Lombardia, ce ne sono diverse. A Bergamo, in particolare. E, da tempo, il tema agita la politica. L’ultimo caso è quello di Cinzia Secchi, da vent’anni responsabile al Pirellone della sezione cave, trasferita ad altro incarico nel gennaio scorso. A farla «saltare» sarebbe stata l’indagine del pm Grazia Colacicco sui suoi legami con alcuni imprenditori del settore ambientale, uno dei quali anche membro fino al 2006 del comitato tecnico consultivo regionale per le attività estrattive.
Il pool, dunque, ha iniziato a scavare. Per questo la Gdf ha acquisito in Provincia il piano di caratterizzazione di Santa Giulia, ossia i documenti relativi alle prime fasi della bonifica. Per lo stesso motivo, ora, anche l’antimafia cerca di capire che fine abbia fatto la terra contaminata. È la parte più «sporca» di questa inchiesta. È la criminalità organizzata che, fin dall’inizio, gioca un ruolo in questa vicenda.

In fondo, era stato Grossi, prima di essere arrestato, a dirlo ai pm. «Mi ero reso conto - aveva messo a verbale - che la Sadi di Torino (una delle società del gruppo Green Holding, ndr) era in mano a un clan malavitoso calabrese».

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