Boniver: non è il momento di ritirare le truppe

Boniver: non è il momento di ritirare le truppe

da Roma

Massacro provocato soprattutto dal panico? Sarà anche. Ma per Margherita Boniver, sottosegretario agli Esteri, è un fatto che a Bagdad «ogni giorno ormai si vive come alla stazione madrilena di Atocha o nel metrò di Londra. Una lunga spirale di violenza che, non a caso, ha ripreso fiato proprio dal giorno in cui si è varata la nuova Costituzione». È per questo che, secondo l’esponente di Forza Italia, è assurdo almeno per ora pensare a ripiegamenti delle forze della coalizione come auspica la sinistra italiana, e ancora più assurdo parlare di «forze di occupazione come ha fatto Prodi che non sa quanto invece l’attuale governo iracheno chieda con insistenza che i nostri militari rimangano e sovrintendano alla ricostruzione di quel Paese».
Insistenza dovuta all’impreparazione dell’esercito e della polizia irachene?
«Anche. Ma c’è un fattore che non dev’essere sottovalutato e che ci ha esposto un leader arabo moderato: l’Irak di oggi per l’estremismo islamico è come fu la Spagna degli anni Trenta per gli antifascisti. Vi accorrono in massa per lottare contro “il grande Satana”, gli Usa. E si mescolano ai terroristi di Al Qaida e ai sunniti che mal digeriscono la Costituzione che si è realizzata».
Ma non c’è, ancora in piedi, un dialogo dietro le quinte proprio sulla Costituzione tra i sunniti da un lato, curdi e sciiti dall’altro?
«Sì. Per fortuna si tratta ancora, nonostante parte della stampa abbia riferito del fallimento dell’accordo complessivo. Credo che qualche buona ragione stavolta i sunniti l’abbiano perché per come è stato concepito il federalismo lascia le ricchezze economiche solo a curdi e sciti. In più c’è il divieto di ricostruire il partito Baath, quello di Saddam, che agita le acque. Ora è vero che dopo un regime quarantennale si dia per scontato porre un veto alla sua rinascita... ma è anche vero che ci sono medici, insegnanti, magari anche ufficiali dell’esercito che sono stati emarginati senza essersi macchiati di colpe gravi. Su questo bisognerebbe essere più malleabili, non procedere più con l’accetta come si è fatto forse negli ultimi due anni nei confronti di chi aderiva al partito Baath».
È possibile qualche previsione sugli sviluppi?
«Credo che nessuno possa farne; la situazione resta molto complessa, anche se il varo della Costituzione è un passaggio di notevole importanza. L’Irak si ripromette di essere un Paese federale, democratico a regime parlamentare bicamerale e con un premier capo dell’esecutivo. Anche le soluzioni sulla valenza della religione islamica sono state individuate con una certa abilità. Insomma non è poco. E ancora, come si è detto in più occasioni, molto può ancora essere rivisto se i sunniti proseguiranno le trattative».
E dunque i paesi che hanno inviato truppe in Irak...

?
«Non devono abbassare la guardia. Ce lo chiedono proprio gli iracheni e anche la direttiva Onu che stabiliva il calendario delle scadenze: Costituzione in agosto, referendum a metà ottobre ed elezioni politiche tra fine dicembre e gennaio».

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