Bono (Pdl): «Il Governo tecnico non potrà mai risolvere i problemi dell'Italia»

Un direttivo destinato a una missione impossibile e cioè obbedire alle richieste dell'Ue, salvaguardando i privilegi delle lobby economiche e finanziarie

«Il Governo di centrodestra è caduto solo per viltà e conseguente incapacità di fare scelte strategiche anticrisi». É la denuncia dell'onorevole Nicola Bono, dirigente del Pdl che in un comunicato guarda con preoccupazione allo scenario del governo tecnico. «Viltà - spiega Bono - di vedere sfumare l'alleanza con la Lega Nord, di perdere consensi per le misure impopolari, di urtare la suscettibilità delle corporazioni che si preparano a piazzare i loro uomini al Governo, per meglio blindare i loro indifendibili interessi che stanno portando il Paese al totale fallimento».
«E così si sta tornando al passato - continua Bono - agli anni precedenti alla rivoluzione liberale del 1994 che purtroppo ha fallito proprio sul punto più delicato per cui era nata e cioè la modernizzazione di un Paese, che oggi è peggio di come lo aveva trovato e, soprattutto, deluso e senza speranza». Questo stato d'animo collettivo per il dirigente PdL «è aggravato dalla prospettiva della costituzione di un cosiddetto Governo tecnico, destinato nei desiderata dei suoi più autorevoli sponsor a una missione impossibile e cioè obbedire alle richieste dell'Unione Europea, salvaguardando contemporaneamente i privilegi delle lobby economiche e finanziarie, responsabili dell'assenza di politiche per affrontare e superare la crisi».
«Un pasticcio dal quale - aggiunge Bono - voglio prendere le distanze. Non sono infatti d'accordo con l'appoggio corale a un Governo Tecnico in primo luogo perché da oltre 4 mesi l'Italia è nella giostra della speculazione mondiale e nessun esponente dell'opposizione ha mai offerto la sua collaborazione a difesa dell'interesse nazionale, ma tutti hanno sempre anteposto a qualsiasi coinvolgimento le preventive dimissioni del Governo; in secondo luogo perché un governo sostenuto da forze politiche culturalmente e idealmente alternative, non può per definizione avere un progetto di sviluppo condiviso e, quindi, elaborare una strategia capace di dare un futuro al Paese; in terzo luogo perché un tale Governo sarà naturalmente ostaggio dei poteri forti, che continueranno a imporre i loro vincoli protezionistici, incuranti di portare il Paese al naufragio; in quarto luogo perché, ogni giorno di ritardo nell'adozione delle decisioni che devono essere prese, è un giorno in meno per la salvaguardia degli interessi generali del Paese; perché, infine, l'unico risultato del Governo tecnico sarà quello di consentire alle forze politiche lo squallido esercizio dello scaricabarile sulle poche e quindi inutili misure impopolari che verranno prese su imposizione dell'U.E., con la speranza di pagarne ciascuno elettoralmente il prezzo minore».
Per Bono ci sarebbe la possibilità di uscire dalla crisi, «se solo - conclude- si riuscirà a capire che la salvaguardia dell'interesse nazionale e quindi generale di tutto il popolo italiano, lobbisti compresi, deve tornare ed essere al centro delle decisioni che, senza indugi, vanno immediatamente prese da un Governo, legittimato dal consenso diffuso sancito da una nuova consultazione elettorale, che si pronunci su un programma contenente tutti i provvedimenti di radicale riforma che è necessario assumere. Per questo le elezioni sono da preferire, in ogni caso, all'agonia di un Governo tecnico, che può al massimo svolgere il ruolo di curatore fallimentare del Paese. Per tali ragioni non intendo associarmi al coro ipocrita e interessato di chi vuole nascondersi dietro l'interesse nazionale, le esigenze superiori del Paese e una pletora di simili frasi ad effetto per ottenere il rinvio elettorale, perché ha paura del giudizio popolare, e punta solo ad allungare la durata del mandato unicamente in una logica di squallido "tirare a campare".

È ovvio, però, che le elezioni non potranno essere fatte con il Porcellum, una legge che ha evidenziato tutti i limiti e i difetti del sistema proporzionale e nessun pregio, neanche quello della presunta fedeltà dei nominati, perché l'ultima crisi ha dimostrato che, quando è in gioco il loro interesse personale, questi tradiscono meglio degli eletti, anche perché non devono neanche dare conto a una base elettorale».

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