Boom dei Verdena, dal pollaio alla top ten

Dopo tre anni di pausa, a sorpresa il trio di Bergamo vola in classifica con il cd «Wow» inciso nel loro studio «particolare» Il segreto? Credibilità, musica raffinata, pochissima tv . E in tre giorni sul web il video «Razzi...» supera i centomila contatti

Boom dei Verdena, dal pollaio alla top ten

Toc toc, avanti prego: i Verdena sono tornati a brucia­pelo, eccoli al secondo posto in classifica e in una settimana hanno venduto più copie di Zucchero e Negramaro (peral­tro usciti da un po’). Una sor­presa, direte. Macché. Allora sono scesi a compromessi e il loro nuovo cd Wow è una lita­nia di singoletti radiofonici? Ma figurarsi: è un doppio al­bum di rock tosto, chiamatelo alternativo se volete, comun­que zeppo di influenze poco decifrabili dall’orecchio me­dio come King Crimson o Mo­torpsycho. E le radio lo passa­no a malapena. E allora? Sem­plice, Wow è il gran disco di una band che in dieci anni e rot­ti si è costruita una credibilità come poche altre qui in Italia ma pure nel resto del mondo. Sono insomma l’eccezione che conferma la regola: per aver successo, gli altri rocketta­ri scatenano il bailamme della comunicazione e non si perdo­no un articolo di giornale costi quel che costi. Loro no. Dopo il quarto cd Requiem del 2007 so­no spariti armi e bagagli, tanto che qualcuno temeva fossero andati in pensione. Però quan­do sul web, nel silenzio più tota­le dell’informazione non spe­cializzata, è arrivato il video del primo singolo Razzi arpia inferno e fiamme ( che titolo, si­gnori) i contatti sono stati oltre centomila in appena tre giorni. Centomila, mica cento.
Dunque, i Verdena sono tre, ossia i due fratelli Ferrari, il can­tante chitarrista e produttore Alberto e il batterista Luca Fer­rari, più la bassista Roberta Sammarelli, hanno in media trent’anni e arrivano da un pae­se­tto di neanche ventimila abi­tanti in provincia di Bergamo, Albino, tranquillità assoluta ai piedi del monte Misma.
Guardando da lassù il fondo della Valle Lujo si può persino vedere il loro studio di registra­zion­e che ha un nome roboan­te in inglese,
Henhouse,ma ba­st­a la traduzione per capire co­s’è o cos’era: pollaio. I Verdena da sempre compongono qui tutte le loro canzoni e le regi­strano dai tempi dell’album Il suicidio dei samurai (2004). E badate bene: dentro non c’è la solita accozzaglia di mostruosi­tà digitali ma solo strumenta­zione analogica e persino vinta­ge, diciamo quella che si usava almeno trent’anni fa. Perciò i loro dischi suonano tremenda­menteverieinbranicomel’ini­ziale Scegli me il pianoforte sembra quello degli Abbey Road ma la batteria ha gli echi che sembrano uscire dai The Plant di Sausalito a due passi da San Francisco. Oppure, co­me nelle due parti di Sorriso in spiaggia , c’è un incredibile crossover tra Beach Boys, il Bat­tisti sudamericano di Anima la­tina , un po’ di prog rock e persi­n­o quell’andamento psichede­lico che ha trasformato i MG­MT in un fenomeno di culto. Se poi prendete i Black Sabba­th reloaded di Attonito e quello strano abbraccio tra Pink Floyd e Queen of the stone age di Mi coltivo , forse il quadro è completo. Per farla breve, non c’è nulla di più lontano dai ca­noni commerciali di queste ventisette canzoni eppure nul­l­a che in questo momento sod­disfi così tanti amanti di quel rock sepolto dal mainstream a colpi di gossip. Per di più, que­st’ «isolazionismo» non è nep­pure una strategia penata a ta­volino: i Verdena suonano in gi­ro per l’Europa senza gridarlo ai quattro venti e convocano nel pollaio anche un bel po’ di amici come gli Hogwash, Spread, Moltheni e Love in Ele­vatror o quella che gli intendi­tori chiamano side band come Betoschi, creata dai fratelli Fer­rari e tenuto volontariamente di basso profilo. In più, manco a farlo apposta, i due hanno ac­compagnato per cinque con­certi i bravissimi Jennifer Gent­le (musicisti da ascoltare, altro che) e Alberto ha pure suonato il basso dal vivo. Insomma, si capisce che i Verdena sono la spina dorsale (almeno una del­le spine dorsali) del rock chia­matelo alternativo ( ma alterna­tivo a che cosa, scusate?), che raccoglie una quantità inso­spettabile di tifosi, quella che per usare una vecchia catego­ria è la cosiddetta maggioran­za silenziosa: se non la cono­sci, non ci fai caso e pensi quasi che non esista (a meno di scor­razzare per i blog). Perciò il se­condo posto in classifica di Wow non significa chissà quali
vendite discografiche (le cifre sono come il Pil: in netto calo) e piuttosto garantirà al tour più sold out di quanti ne abbia già avuti (il 4 saranno al Velvet di Rimini). Ma è il segnale di vitali­tà di una scena musicale a tor­to affrontata spesso con la puz­za sotto il naso.

Ed è l’avviso di garanzia alla feroce strategia del purché se ne parli. No, sta­volta se ne parla perché ne vale la pena e qualche volta c’è da dire evviva e basta. .

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