Borse, la benzina del rialzo è già finita

da Milano

E la chiamavano estate, la bella stagione del rialzo continuo, capace di far scomparire come d’incanto i fantasmi della crisi, di guarire i postumi da sub prime, di ficcare sotto il tappeto bilanci inguardabili e inflazione. Facendo finta di essere sane, le Borse ci hanno provato. Ma ora la festa sembra già finita.
Chiedere per conferma all’Europa, che da ieri si ritrova smagrita di 170 miliardi di euro in termini di ricchezza borsistica, quanti se ne sono andati sotto il peso di una perdita del DJ Stoxx 600 del 2,52% (a Milano, meno 2,11% il Mibtel). Basta gettare uno sguardo verso Oriente, dove a Tokio (meno 2,3% il Nikkei) la «gente è di nuovo spaventata», commentava sconsolato un manager. Non tanto per lo scivolamento del Paese nella recessione, quanto perché convinta che «i problemi dei sub prime fossero stati superati».
E invece no: tutto sembra ancora in alto mare, con i prezzi del petrolio d’improvviso più caldi di quasi quattro dollari il barile (a 116 dollari), con l’euro tornato quasi a ridosso di 1,48 dollari. È un mare agitato dai rumor che soffiano sui mercati esponendoli al rischio di affondare. All’inizio della settimana, Wall Street era andata sotto in seguito alle indiscrezioni secondo cui il Tesoro Usa è pronto a calare la scialuppa per salvare dal dissesto Freddie Mac e Fannie Mae. Ieri, i titoli dei due colossi semi-governativi hanno continuato a collassare, ma gli indici sono caduti in basso (meno 1,10% il Dow Jones, meno 1,35% il Nasdaq) a causa delle voci su un ulteriore aumento di capitale da parte del gruppo assicurativo Aig e, soprattutto, su quelle che riguardano Lehman Brothers, che ha perso fino all’11%.
Attorno a una delle più blasonate banche d’affari Usa si va stringendo il cerchio: JP Morgan ha stimato in quattro miliardi di dollari l’ammontare delle nuove svalutazioni che Lehman sarà costretta a effettuare, mentre le perdite del terzo trimestre potrebbero toccare gli 1,8 miliardi. Fioccano inoltre le congetture sulla cessione di attività, operazione necessaria per reperire liquidi. In particolare, ha rivelato il Wall Street Journal, per l’acquisto di una quota della divisione di investment banking, di cui fa parte l’unità Neuberger Berman, avrebbero già manifestato interesse Carlyle e Blackstone. Secondo la Cnbc, Lehman punta a incassare 10 miliardi dalla cessione del 70% di Neuberger.
Allargare il focus dalla finanza al resto dell’economia a stelle e strisce non serve a stemperare le preoccupazioni. Anzi. Il mercato del mattone è in caduta libera: le costruzioni di nuove case sono crollate in luglio dell’11%, ai minimi da 17 anni. «Il peggio deve ancora venire nella correzione di questo settore», ha detto ieri a chiare lettere il governatore della Fed di Dallas, Richard Fisher. E l’economia? Nel secondo semestre «crescerà a passo di lumaca». Un’altra doccia fredda per i mercati.
Se la Fed e la Casa Bianca (che ha escluso il varo di un secondo piano di incentivi) continuano a negare l’ipotesi di recessione, c’è invece chi considera gli Usa già piombati nella stagflazione (crescita bassa a fronte di alta inflazione). La tesi è suffragata dall’impennata in luglio dei prezzi alla produzione: più 1,2% rispetto a giugno, più 9,8% su base annua, l’incremento più marcato degli ultimi 27 anni. Preoccupa in particolare il più 3,5% dell’indice core (al netto di alimentari ed energia), segno che i rincari non sono circoscritti a settori volatili come il petrolio.

Musica per le orecchie di un «falco» come Fisher, che dall’inizio dell’anno ha sempre opposto il proprio voto alla politica accomodante della Fed: «Dobbiamo rimanere pronti ad agire se il rallentamento della crescita non riuscisse a contenere le pressioni inflative». A dargli manforte, il collega di Richmond Jeffrey Lacker: «I tassi sono terribilmente bassi».

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