Bossi bacchetta i giudici ma anche l’alleato

RomaSiamo nel «bossismo» puro, qualcuno direbbe arte neo-democristiana, la diplomazia del capo che deve tenere insieme molti fili e placare focolai di malcontento. Il rebus è stare dentro un’alleanza che, al di là della solidità, qualche problema di convivenza pacifica lo pone. Bossi sa di doversi mostrare fedele al Cavaliere ma nello stesso tempo, quando sposta l’occhio verso Nord, sa pure di doversi smarcare dalla vita spericolata dell’amico. E allora Bossi si duplica, come ha già fatto diverse volte nei giorni scorsi. Il primo Bossi si meraviglia dell’attivismo giudiziario nei confronti del capo del governo. L’ultima volta aveva detto che «la magistratura esagera un po’», stavolta articola meglio il discorso fino a riconoscere «una guerra totale» e tra gli eserciti in campo una magistratura schierata «contro il Parlamento». L’Umberto si riferisce al voto della Camera sulla restituzione degli atti alla Procura di Milano, che «era passata con la maggioranza assoluta». «Facendo così pare che i pm di Milano non rispondano più a niente e nessuno», il giudice naturale era un altro», scegliendo di andare avanti lo stesso significa «andare alla guerra di tutti contro tutti».
Questo è il Bossi berlusconiano che parla. Ma sarebbe indigesto a parte dei padani se, in un nanosecondo, non aggiungesse che «certo anche Berlusconi ha le sue colpe» per tutto il casotto delle feste di Arcore, «se si trova in questa situazione. Certe cose le ha fatte lui, non io...». Come dire: oh, leghisti, guardate che noi ci siamo alleati ma mica siamo come lui.
Questo non significa che nel mondo della Lega non esista realmente un fondo di diffidenza verso la magistratura italiana (cioè non padana). Nelle telefonate a Radio Padania, un barometro abbastanza affidabile degli umori dei militanti (che però sono lo zoccolo duro dell’elettorato, quindi solo una parte), si segnalano telefonate molto critiche sulle procure che, invece di arrestare i criminali, inseguono le ragazze ospiti del premier. C’è anche un’affinità che viene da lontano e che avvicina Lega e Berlusconi nel sospetto verso una magistratura con preferenze politiche. «Questo sentimento c’è assolutamente nella Lega - spiega il deputato e leader dei Giovani della Lega Nord, Paolo Grimoldi - cito un aneddoto che mi riguarda personalmente. Quanto ero un giovane militante della Lega, a 21 anni, attaccavo i manifesti del partito e siccome ero esuberante qualche volta ne mettevo qualcuno abusivo con la scritta “Padania libera”. Una sciocchezza che comporterebbe una normalissima sanzione amministrativa. Invece no, siccome ero della Lega mi arrivò un avviso di garanzia, per vilipendio delle istituzioni! E mi interrogarono addirittura! Impegnarono un magistrato della Procura di Brescia che venne a Monza per interrogare un ragazzino di 21 anni, una cosa da non credere. Questo perché evidentemente ci sono due pesi e due misure».

La storia della Lega è costellata da provvedimenti giudiziari, da Bossi a Maroni i capi del partito si sono sempre detti perseguitati per le proprie opinioni politiche (si ricordi la guerra con il procuratore Papalia, quello che indagò la Lega per «associazione segreta»). In Bossi forse si è risvegliato un po’ di quell’antica diffidenza verso i magistrati dello Stato centralista... Una bella notizia per il Pdl.

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