Bossi giura lealtà: «Niente voto, io non sono Fini»

nostro inviato a Pian del Re (Cuneo)

Hanno fatto i pontieri fino a una settimana fa, gli ufficiali di collegamento tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. «Fino a Mirabello ho tenuto duro - dice il ministro Roberto Calderoli - ma adesso non c’è niente da fare. Quello di Fini è stato un discorso da leader politico, ma dell’opposizione. E le proposte economiche che ha presentato sono un programma elettorale per fare la fine della Grecia». Rincalza il governatore piemontese Roberto Cota: «Il presidente della Camera è incompatibile con questa maggioranza».
Calderoli e Cota, i due ambasciatori di Bossi, ieri nella cerimonia dell’ampolla alle sorgenti del Po non lasciano scampo. Il popolo padano è con loro: accanto ai soliti «Roma ladrona» e «Padania libera», ai piedi del Monviso è echeggiato anche un «Fini traditore».
Nella Lega che per la quindicesima volta scende lungo il Po, il capitolo Fini non sembra la preoccupazione numero uno. Nei due comizi di giornata, uno alle sorgenti e l’altro a Paesana, Umberto Bossi parla soprattutto di federalismo e decentramento, un capitolo già lanciato a Pontida: ovvero, basta con i ministeri concentrati a Roma. «L’hanno fatto in Inghilterra e non è morto nessuno, anzi è venuta un po’ di democrazia in più. Sarà la prossima battaglia, visto che il federalismo è pronto. Lotteremo per portare democraticamente i ministeri dappertutto. I ministeri significano moltissimi posti di lavoro, moltissimi soldi, non vedo perché debbano restare a Roma. Magari non tutti sono d’accordo, ma lasciamo passare un po’ di tempo perché bisogna cambiare». Calderoli ha fatto degli esempi: «L’Economia a Milano, lo Sviluppo a Torino, il Turismo a Venezia e la Sicurezza a Palermo, visto che hanno la mafia».
Sono comizi che ricordano la forza della Lega e delle sue proposte. «Il federalismo è pronto, questione di giorni», garantisce Bossi replicando ai «giornalisti che non capiscono niente con le loro analisi: al liceo sarebbero bocciati». «Dovete prepararvi a grandi festeggiamenti in tutte le piazze d’Italia, perché l’obiettivo è raggiunto. Vent’anni fa volevano metterci in galera, poi hanno cominciato a cedere e adesso è fatta. La premiata ditta Calderoli-Bossi ha portato a casa il risultato. Ma noi andremo avanti, non andremo in pensione finché la Padania non sarà libera. E quando non ci saremo più, ci penseranno i nostri figli, li abbiamo allevati bene, la pensano come noi e porteranno avanti le nostre cause fino alla vittoria».
Davanti al migliaio di militanti saliti fino ai 2000 metri di Pian del Re, il Senatùr ribadisce la svolta dell’altra sera: le elezioni sono più lontane, il patto con il Pdl è saldo, si tira dritto con questo governo. «Visto che non si può andare a votare, meglio andare avanti a lavorare e non pensarci più», sono state le sue parole. «Sarà la Lega a dare vita al governo Berlusconi - ha aggiunto -. Io non sono Fini, ho fatto un patto, manterrò l’alleanza e voterò la fiducia in Aula. La Lega sarà leale». I cronisti lo hanno assediato chiedendogli che cosa pensasse di maggioranze allargate. In mattinata ha risposto: «Di queste cose non so niente». Al pomeriggio ha alzato il dito medio.
Ci pensa l’ex pontiere Calderoli a dettagliare la linea del Carroccio. «A noi non piace che una famiglia venga trascinata nelle polemiche politiche. Ma dopo il discorso di Mirabello non c’è più nulla da fare con Fini. Ci ha ricattato parlando del voto determinante di Baldassarri nella Commissione per il federalismo e ha insultato la Padania. Non capisco il comportamento dei suoi fedelissimi che restano nel governo: non si sputa nel piatto dove si mangia. Invece sono rincuorato dal vedere che due ex esponenti di Alleanza nazionale del Sud come Alemanno e Scopelliti ci dicono di andare avanti con il federalismo per il bene del Mezzogiorno».
C’è bisogno di fare chiarezza, insiste Calderoli. Come sulla legge elettorale: «L’ho scritta io, ma il proporzionale fu voluto da Casini e le liste bloccate da Fini».

E sul voto anticipato: «Quando abbiamo parlato di elezioni, se la sono fatta tutti addosso perché hanno capito che se si andava a votare gli unici a guadagnarci saremmo stati noi. Gli è venuto il cagotto quando è stato chiaro che l’unica sicura di vincere era la Lega».

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