Bossi: "Dopo l’ictus pensai di lasciarmi morire"

In un’intervista a "Gente" il leader leghista tocca il tema dell’eutanasia: "Capisco il dramma di chi sta accanto a persone in coma da anni, ma anche il dilemma dei medici. Quattro anni fa volevo porre fine alla sofferenza enorme che mi stava opprimendo"

Bossi: "Dopo l’ictus pensai 
di lasciarmi morire"

Roma - Lottare o lasciarsi andare. Accettare o rifiutare. Resistere o mollare. Umberto Bossi sa bene quanto sia difficile scegliere per il meglio, quando d’improvviso la malattia ti cambia la vita. Sa bene quanto si debba faticare per non lasciarsi prendere dallo sconforto e chiudere anzitempo la partita. Sa bene, tra l’altro, quanto dolore possano provare i congiunti, i parenti più stretti, quelli che ti stanno accanto giorno e notte. Il più delle volte impotenti. Il Senatùr lo sa da almeno quattro anni. Da quando arrivò l’ictus.

Oggi, però, la sua forza d’animo - assicura - ha avuto la meglio. Ma in passato, tanti dubbi, molti tentennamenti. «In quei momenti ero convinto che non sarei più guarito», dichiara il ministro per le Riforme a Gente. Cosciente, spiega, di non riuscire «davvero a intravedere un futuro, una speranza». «Frastornato», impegnato in una «lotta durissima tra paura, angoscia e speranza». Nel corso della quale, rivela, «ho pensato di lasciarmi andare, di non lottare più per sopravvivere».

Esperienza diretta, dunque. Tale da comprendere chi, in questi mesi, ha riaperto il dibattito sull’eutanasia. Tale da capire, magari senza condividerla appieno, la posizione di Beppino Englaro, papà di Eluana - la donna in coma da quasi 16 anni a seguito di un incidente stradale - che, tra carte bollate e appelli di varia natura, porta avanti la sua battaglia. Per ottenere l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale, affinché la figlia possa avere «una morte dignitosa, come è nel suo diritto».

«Capisco che i parenti delle persone in coma da tanti anni e con nessuna possibilità di risveglio lottino per cambiare la loro condizione», afferma il leader del Carroccio, in un’intervista rilasciata mercoledì scorso al settimanale, a margine del concorso di Miss Padania, svoltosi a Diano Marina, e pubblicata nel numero in edicola oggi. «Sono però anche consapevole del dilemma dei medici - aggiunge Bossi - sempre soggetti a una scelta che è contro il loro giuramento professionale».

Il riferimento è al giuramento d’Ippocrate, che li impegna a «salvare la vita e non a toglierla». Anche per questo il segretario leghista rimarca: «Credo che in Italia sarà molto difficile arrivare a una soluzione legislativa, almeno per adesso». Una soluzione, tra l’altro, che spacca ancora il mondo politico. Incapace, per il momento, nonostante il dibattito ogni tanto riprenda vigore, di trovare una strada percorribile e condivisa in materia.

Tornando al suo caso personale, il ministro si sofferma poi su alcuni ricordi. «In una situazione simile - afferma - si provano tantissime sensazioni contrastanti». In fondo però, puntualizza, «forse non ho mai pensato alla morte in quanto tale, ma soltanto alla fine di una sofferenza enorme che mi stava opprimendo». In ogni caso, aggiunge, «sono un lottatore vero e ho continuato a combattere. La speranza, fortunatamente, è sempre l’ultima ad andarsene».

Una lotta portata avanti grazie all’affetto della gente che lo circonda, dei ragazzi del partito, ricorda di continuo. «Un «valore aggiunto», certo, anche se il Senatùr non dimentica mai di rimarcare il «ruolo fondamentale» della sua famiglia. A cominciare dalla moglie Manuela, alla quale chiese di lasciarlo morire, perché con quello che gli era successo sarebbe stato «troppo lungo e faticoso» il percorso che porta alla ripresa. La compagna di vita che, spiega da tempo, gli è stata di conforto durante il soggiorno in Svizzera, in clinica. Dove si sentiva «confuso», pur comprendendo, per la prima volta, «cosa prova un emigrante».

Prima di fare finalmente ritorno a casa, confortato dalla vista delle sue montagne. Prima di bloccarsi dinanzi al portone d’ingresso, con «qualche lacrima» che, ammise, scese giù. Adesso, è tutto passato. «L’ho superata, è tornato il leone», assicura Bossi ogni volta che può.

Grazie anche all’amore, che rappresenta «la cosa più importante». Senza, «saremmo sterili e cinici». Certo, «la sofferenza aiuta a capire», ma in fondo «non sono cambiato». Perlomeno, riconosce, «non quanto vorrebbero gli altri».

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