Bossi lancia la protesta fiscale in 13 mosse

Bossi lancia la protesta fiscale in 13 mosse

nostro inviato a Pian del Re (Cuneo)
Il dio Po ha regalato il sole ai leghisti («sole celtico», esclama Mario Borghezio) dopo il diluvio di un anno fa, ma non ha fatto il miracolo di radunare molta gente per il rito del prelievo d’acqua alle sorgenti del fiume. Sulla brulla spianata ai piedi del Monviso un centinaio di militanti coperti di maglie, berretti, bandiere verdi saluta Umberto Bossi che a metà pomeriggio prende l’ampolla dalle mani di un bimbo e la alza al cielo. Domani la vuoterà in laguna, e la liturgia sarà compiuta. «Ci sentiamo piccoli piccoli davanti a queste montagne, siamo figli di questi monti e di questa acqua - evangelizza il Senatùr -. Qui nasce il popolo che a poco a poco sta alzando la testa fino ad arrivare alla libertà. Si avvicina il momento della liberazione, preparate i vostri animi».
È il via della tre giorni padana: oggi la discesa in motonave da Mantova lungo il Po, domani la festa a Venezia. Bossi informa che soltanto sulla Riva degli Schiavoni svelerà i 13 punti della protesta fiscale leghista, li spiegherà nel dettaglio, e da martedì li farà pubblicare giorno per giorno sulla Padania - la «Pravda del Nord» - con libretto finale allegato. Così, la notizia più importante di ieri è la sua stessa presenza: la breve passeggiata a duemila metri fino al piccolo palco allestito presso la roccia dove è scolpito «Qui nasce il Po»; la voce rauca ma chiara; il successivo comizio a Paesana, all’imbocco della vallata; insomma, la voglia di esserci. Al suo fianco i «colonnelli» piemontesi Roberto Cota e Mario Borghezio, reduce dalla disavventura belga («il loro ministro degli Esteri ha chiesto ufficialmente scusa al nostro ambasciatore a Bruxelles per l’arresto»), il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli e Rosi Mauro, la «pasionaria» del Sindacato padano.
Ai fedelissimi del Pian del Re e ai leghisti di Paesana, Bossi annuncia che a maggio si ripeterà la catena umana lungo il Po: «Milioni di persone unite per dire no alla schiavitù di Roma». È la conferma che «la Lega non vuole cedere» nella lotta per il federalismo. «Prodi aveva promesso di discutere sul federalismo fiscale. La Lombardia ha incaricato il governatore di trattare con il governo. Adesso vediamo, con il presidente del Consiglio eravamo d’accordo di vederci a metà settembre. È pericoloso non mantenere la parola con una regione così. Senza la Lombardia lo Stato italiano chiuderebbe in due settimane. Le regioni del Nord fanno più abitanti e più reddito di tante nazioni europee: Prodi è così forte da sfidarle?».
Il Senatùr agita lo spettro della protesta fiscale: «So che tanta gente ha intenzione di protestare, imprenditori, artigiani, persone normali. E tanti piccoli fanno grandi numeri. Si rivoltano contro i ladruncoli della sinistra, che dove ha governato ha fatto sempre male». Ma l’obiettivo è fisso, cioè il federalismo con la riforma elettorale. «Abbiamo uomini capaci di resistere a chi li ridicolizza e li insulta. Li ho allenati, hanno i muscoli, la cautela e la pazienza per portare a casa il risultato. Tutto però dipende da Prodi: se lui dà l’input, le riforme si fanno».
Dialogo con la maggioranza, insomma. Ed è una posizione diversa dalla chiusura imposta da Silvio Berlusconi dopo le nomine alla Rai. «Non mi piace agire per puntiglio - dice il Senatùr -. La nuova legge elettorale va fatta, l’ha chiesta anche il capo dello Stato, e per farla bisogna prepararla». Presa di distanza anche sulla data delle elezioni: «Spero che si voti l’anno prossimo, ma non ho fretta particolare. Facciamo un passo alla volta, il primo è la nuova legge elettorale, poi vediamo».
Bossi invece è critico sui ticket d’ingresso di cui si parla per alcune grandi città del Nord, Milano compresa. «Sarebbe meglio evitarlo, ma non conosco bene i conti del Comune.

Le grandi città della Padania sono soffocate dal traffico e non sanno come far quadrare i conti perché Roma non gli lascia abbastanza soldi. È ora di finirla che la capitale della potente Lombardia sia sotto il tallone dello schiavismo italiano».

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