Bossi sprona il premier a cacciare i finiani

Il Senatùr: "Silvio ha la spada affilata e la utilizzerà". Poi sigla il "patto del toscano" con Tremonti. Cresce l’irritazione di Berlusconi per Fini: pur di remare contro, dà corda a tutti, persino a D’Alema

Bossi sprona il premier a cacciare i finiani

Roma - «Due anni di presidenza Fini e Montecitorio già cade a pezzi», chiosa un ministro vicino al Cavaliere quando dal primo piano della Camera si stacca un infisso in legno di circa due metri e cade rumorosamente nel cortile interno dove deputati e giornalisti stazionano per fumare. Una battuta, certo. Ma che fotografa alla perfezione l’avvicinarsi di uno showdown che a oggi neanche le colombe più convinte si sentono di escludere. D’altra parte, nel day after delle dimissioni di Cosentino con annesso j’accuse contro Fini, ancora una volta Berlusconi non manca di cogliere i segnali di fumo che arrivano dall’ex leader di An. Sulla proposta lanciata da D’Alema dalle colonne del Corriere della Sera (un governo di transizione ma senza Berlusconi premier) i finiani decidono infatti di glissare. Non una parola, a differenza del resto del Pdl che insorge.

Insomma, se il Cavaliere non nasconde in privato di considerare «ridicolo» lo scenario disegnato dall’ex premier, la pattuglia di fedelissimi all’ex leader di An tace. Con l’eccezione di Granata che prima dà dei «traditori» agli ex colonnelli di An La Russa, Matteoli e Gasparri e poi sposa la linea D’Alema: «Si potrebbe anche prospettare l’ipotesi di un governo di transizione che porti alla modifica della legge elettorale senza più premio di maggioranza. Il rischio di tornare alle urne nel 2011 è fortissimo». Insomma, ancora una volta Fini - che proprio una settimana fa ha avuto un lungo incontro con l’ex segretario Ds - decide di giocare in proprio. E pur sapendo che a oggi qualsiasi nuovo governo non può fare a meno dei numeri del Cavaliere continua ad agitare lo spettro del dopo Berlusconi. Scontato, quindi, che il diretto interessato continui a considerarlo un traditore che sta facendo le prove generali della congiura da consumarsi in autunno.

E anche Bossi, soprattutto in privato, non ci va giù tenero con il presidente della Camera. Da giorni, infatti, il Senatùr sta invitando il premier a «reagire» e «riprendere in mano il pallino del gioco» perché «così non si può andare avanti». Concetto che ieri ha ripetuto pure pubblicamente: sì al ddl intercettazioni perché «la gente non vuole essere ascoltata» e no alle larghe intese proposte da D’Alema. Con una certezza: «Berlusconi un giorno scoprirà che la spada è ancora affilata e la userà». Purché si sbrighi, lascia intendere il leader della Lega, visto che «il governo per ora va bene» ma «nei prossimi anni non so». Avvertimento lanciato dopo una lunga chiacchierata insieme a Tremonti - presenti la Mauro e Bricolo - sui divanetti del Senato. Per usare un eufemismo un colloquio piuttosto informale visto che Bossi non aveva né giacca né cravatta (in barba al regolamento di Palazzo Madama) e che i due spipacchiavano allegramente il toscano (in barba al cartello «vietato fumare» lì a pochi metri). Quaranta minuti buoni in cui si sono trovati d’accordo sul mettere la fiducia alla manovra anche alla Camera e approvare in Consiglio dei ministri il decreto legislativo sul federalismo fiscale per le Regioni prima dell’estate. Un siparietto che il premier non avrebbe troppo gradito, non tanto per il colloquio in sé (che Bossi e Tremonti si parlino non è una novità) quanto per la scelta di farlo platealmente davanti ai giornalisti.

Berlusconi resta però alle prese anche con la pratica intercettazioni e con quella Pdl. Sul primo fronte, nonostante il ddl sia stato quasi del tutto svuotato e aumenti la tentazione di lasciar perdere, l’indicazione data ad Alfano e Ghedini è quella di recepire tutte le sollecitazioni del Colle. Sul secondo, invece, l’intenzione è sempre più quella di mettere mano al partito. Le somme si tireranno durante il conclave del Pdl che dovrebbe tenersi ad agosto per iniziare a ragionare sulla fase pre-congressuale, ma già il 27 luglio il premier potrebbe dare una prima mano di vernice al partito riportandolo in piazza dopo una lunga pausa.

Niente di paragonabile alla manifestazione di San Giovanni - la location sarà la piccolissima piazza di Pietra - ma comunque un segnale. Con gli attriti interni che continuano, tanto che uscita la notizia della maratona oratoria del 27 luglio di cui si sta occupando la Brambilla il resto dei dirigenti del Pdl è andato in subbuglio.

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