Politica

Da Brancher alla Turchia, il popolo lumbard brontola

Umberto Bossi l’ha ripetuto più volte: tra i leghisti serpeggia il malumore e Radio Padania ne è l’eco. «Sono arrabbiato con certi che telefonano», fa sapere il Senatùr. Se lo dice dal palco non è per tirare le orecchie all’emittente, ma è la presa d’atto che nel popolo leghista non tutto fila liscio. Il fatto non ha precedenti. Il partito che al proprio interno non litiga o almeno non lo dà a vedere e che fa della compattezza e della fedeltà venticinquennale alla linea politica autonomista il proprio marchio di fiducia, ora deve fare i conti con una contestazione. Cresce il consenso, e parallelamente il mal di pancia della frangia meno incline alla strategia del «partito di lotta e di governo».

Sbaglia Bossi se pensava di aver tacitato i suoi lanciando la fase del decentramento dopo quella del federalismo. Al termine del raduno sul pratone di Pontida, i «microfoni aperti» di Radio Padania trasmettono in diretta entusiasmo ma anche critiche. Una signora si lamenta perché «il ministro Frattini è favorevole all’ingresso della Turchia nell’Ue». Un ascoltatore protesta perché «non mi piace fare il servo di Berlusconi». Un altro polemizza con la nomina a ministro di Brancher «o Branscè, non so come si pronuncia». Se non fossero subentrati i goliardi di «Due teste di calcio» a sghignazzare sulla figuraccia dell’Italia ai Mondiali, le rimostranze padane si sarebbero ingrossate.

A sconcertare maggiormente i leghisti sarebbe proprio la nomina di un berlusconiano a ministro del Federalismo. Anche se amico di Bossi e mediatore tra il Cavaliere e il Senatùr, Brancher ministro è piombato come un fulmine sui militanti verdi. L’altra fonte di preoccupazione riguarda l’attuazione stessa del federalismo. La base del Carroccio assiste preoccupata alle polemiche sui costi della riforma, discussioni che potrebbero preludere a un ulteriore slittamento. D’altra parte, dopo due anni di governo, sul piatto della bilancia ci sono leggi, decreti, trasferimenti di soldi e poteri per ora rimasti sulla carta, e nulla di tangibile per il «leghista della strada». Hai voglia a ripetere che «con il federalismo demaniale laghi, fiumi, spiagge sono diventate proprietà di Regioni, Province, Comuni»: per la vita quotidiana di tanta gente normale non cambia nulla.

Il capogruppo al Senato Federico Bricolo inquadra la strategia con chiarezza: «A Roma cerchiamo di non litigare per portare a casa il massimo». Ottenuti i maggiori poteri per i sindaci, bloccati i flussi di clandestini, tra gli obiettivi della Lega resta soltanto il boccone più grosso, la stessa ragione d’essere del partito: il federalismo. Un obiettivo che sembra allontanarsi proprio quando era a portata di mano. Così, tra i padani si insinua il sospetto che la tattica del «tacere per ottenere» possa rivelarsi perdente. Per questo Bossi ripete ai suoi di «stare tranquilli», di «non avere timore», e assicura agli agricoltori presenti con i trattori che «non mi sono dimenticato di voi». Ma ricorda anche che il Belgio cuore d’Europa potrebbe dividersi dopo il recente risultato elettorale.

«Tante cose possono ancora succedere», ammicca sornione, proprio a Radio Padania, il pasdaran Matteo Salvini.

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