Bunin, quel sogno al Conservatorio

Bach, Chopin e Debussy nel programma del grande pianista russo

Piera Anna Franini

Chopin ha il dono di legare a sé gli interpreti, per sempre. Entra nelle dita, nell’anima: imprime l’identità del pianista che inevitabilmente finisce nella schiera degli chopiniani. Schiera dove c’è chi sta all’ombra e chi sopravvive. Sono pochi, poi, a svettare, perché Chopin è tremendo, basta un nulla per non far centro, per cedere al kitsch, alla melassa distogliendosi dalla poesia pura: dono per pochi. È uno Chopin d’autore quello di Stanislav Bunin, moscovita, classe 1966. Un “nome” da un quarto di secolo, ormai: da quando – diciannovenne – si aggiudicò la medaglia d’oro al concorso “Chopin” di Varsavia, la competizione che ha laureato chopiniani votati come Pollini.
Bunin, che in Italia è una “scoperta” di Antonio Mormone, ritorna a Milano, stasera (ore 21) ospite in Conservatorio – assai frequente - della Società dei Concerti. Il programma abbina le tre “debolezze” di Bunin: Bach, Chopin e Debussy. Faro puntato sull’Andante Spianato e Grande Polacca Brillante op. 22, «la composizione che più amo in assoluto» ci confessa dopo aver spiegato che «quando siedo alla tastiera e suono per puro piacere personale, eseguo Bach, Chopin e i francesi, in particolare Poulenc e Debussy. Sono sempre più attratto dal Barocco, da Corelli e Bach - dice -. Adoro il Clavicembalo ben temperato e spero di poterlo proporre il prima possibile in recital. Trascorro il tempo libero ad ascoltare le Cantate di Bach».
Il tono è deciso, già ci si aspetta la risposta, ma si tenta di capire se il tempo dedicato all’ascolto si allarga anche a mondi non proprio ortodossi: Bunin risponde con un sorriso, «Rock, pop e jazz… no guardi…»
Curiosità. Bunin raggiunge l’Italia dopo recital in Polonia. Cosa vuol dire proporre Chopin a casa sua? «Suono spesso qui, credo di poter contare su un certo feeling con il pubblico. Che trovo molto gentile e ben disposto nei confronti di interpreti stranieri che propongono Chopin», assicura. Quanto agli chopiniani prediletti, Bunin fa i nomi di rito e cortesemente ha cura di citare il made in Italy, quindi gli inossidabili Benedetti Michelangeli e Pollini.
Bunin si divide fra Colonia, Amburgo e Tokyo, dove trascorre almeno sei mesi l’anno: con la moglie, giapponese. Un nipponico convinto: «Del Giappone mi piace tutto: cultura, vita moderna, il senso di dinamismo», dice. Promossa anche la qualità della vita musicale: «Ovunque vi sono belle sale da concerto e buone orchestre. Da cinque anni a questa parte si sta registrando un’esplosione di talenti giapponesi», sostiene smascherando però l’animo russo.

«Molti giapponesi vengono a studiare in Germania perché lì ci sono ancora tanti insegnanti russi», e tanto per chiarire il concetto aggiunge una postilla: «Quindi la qualità della scuola è buona». Il moscovita Bunin, giapponese e tedesco d’adozione, strizza infine l’occhio alla sua seconda patria con un «del resto la Germania ha una solida tradizione».

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