Bussole in regalo ai detenuti musulmani. «Per non sbagliare la preghiera»

La provincia di Cagliari (governata dal Pd) appoggia il progetto di un'associazione: «Così riusciranno a rivolgersi verso la Mecca senza errori». Ma le autorità «dimenticano» gli allarmi sul proselitismo fondamentalista nei penitenziari italiani

Un omaggio ai detenuti di fede musulmana sta per essere recapitato nel carcere di Cagliari. Si tratta di bussole per poter pregare in direzione della Mecca senza margine di errore.
L'iniziativa prende il nome «Liberi di pregare» ed è promossa dall'associazione Socialismo Diritti e Riforme, con la collaborazione dell'assessorato ai servizi sociali della Provincia di Cagliari, guidata da Graziano Milia del Partito democratico. La motivazione del gesto è presto detta: «Il crescente numero di detenuti extracomunitari nelle carceri isolane, - conferma la nota ufficiale - ha posto all'attenzione delle istituzioni il problema della pratica della fede islamica. Il secondo pilastro dell'Islam è infatti il dovere religioso di eseguire cinque preghiere quotidiane». Infatti i musulmani praticanti sono tenuti ad eseguire le espressioni di fede, a regolari intervalli della giornata, prostrandosi a terra con il capo rivolto nella direzione dell'antico santuario della città di Mecca. E qui, tra le quattro mura del penitenziario, subentra l'aspetto più problematico. A differenza dei detenuti cattolici - si spiega -, ai quali «basta» incontrarsi e riunirsi in occasione della celebrazione della Santa Messa, per i seguaci di Allah è necessario l'aiutino pubblico. Aggiungono ancora i promotori: «La preghiera è per loro fonte primaria di consolazione e di speranza soprattutto nelle lunghe attese che precedono i processi. Rappresentano, inoltre, momenti di riflessione e di crescita interiore irrinunciabili nonché occasioni di scambi culturali all'insegna della pace». Auspicio più che condivisibile.
Purtroppo però, a proposito di pene detentive e integrazione, il discorso si estende al fenomeno dilagante del proselitismo fondamentalista all'interno delle carceri tra soggetti «ribelli» o che hanno perso il contatto con la società civile, come testimoniano numerosi rapporti d'intelligence internazionale e pure dossier del Viminale. Un fronte particolarmente caldo. Altra questione di primaria importanza è il controllo sull'accesso nelle strutture da parte di sedicenti imam o di altre figure religiose sulle cui effettive credenziali, molto spesso, si conosce ben poco.

Tra legittimo esercizio dei propri diritti di natura religiosa, previste dalla Costituzione e dalle leggi italiane, e pericolo di penetrazioni integraliste c'è ancora uno strato di nebbia da dipanare. E su questo dovrebbero essere le istituzioni a non smarrire mai... la bussola.

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