Khartoum Si è votato in massa ieri nella regione meridionale del Sudan per il referendum che potrebbe sancire la secessione di questa parte del grande Paese africano, di etnia nera, a maggioranza religiosa cristiana e ricco di petrolio. Ci vorrà tempo per conoscere i risultati della consultazione, ma se come sembra la maggioranza si sarà espressa per la secessione, entro il prossimo agosto la carta geografica dellAfrica si arricchirà di un nuovo Stato indipendente, il Sudan del Sud, con capitale Juba.
Le autorità di Khartum hanno ripetuto più volte di essere intenzionate a rispettare il risultato del referendum «qualunque esso sia». Dietro questa transizione pacifica in Sudan cè il paziente lavoro sottotraccia attuato dalla nuova superpotenza che più si sta dimostrando attiva in Africa: la Cina. Pechino, più di ogni altro Paese, teme un eventuale nuovo conflitto nel già martoriato Paese africano. Non soltanto per ragioni umanitarie. Ma anche perchè sul Sudan, la Cina ha scommesso da tempo facendo di Khartoum la sua vera porta di ingresso in Africa. E subentrando, nel business del petrolio, con grande abilità e cinico tempismo, alle grandi multinazionali del settore in fuga da un Paese messo al bando dalla comunità internazionale e il cui presidente è ricercato per genocidio nella regione del Darfur.
Gli investimenti cinesi nel Paese sono molto forti e il Sudan è stato per anni il laboratorio dello sbarco cinese in Africa. Il recente viaggio nel continente nero di Xi Jinping, luomo destinato a guidare la Cina del dopo-Hu, ha confermato il ruolo centrale dellAfrica nella strategia di espansione economica e politica della Cina. In quindici anni la Cina ha costruito in Sudan strade, aeroporti, interi quartieri. Ma soprattutto ha costruito loleodotto che porta il petrolio dal sud al nord.
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