Massimo Cacciari, lei è un orfano del terzo uomo Pd...
«Il fatto che Chiamparino si sia ritirato senza dubbio riduce l’offerta politica. La sua candidatura sarebbe stata molto significativa per ragioni politiche e geopolitiche».
Non si sente rappresentato da nessuno dei due nomi rimasti in corsa?
«Bisogna vedere quanto Franceschini e Bersani, che sembrano profilarsi come candidati unici, riusciranno con i loro programmi a coprire lo spazio che era proprio di Chiamparino». Quando parla di spazio intende anche spazio geografico, giusto?
«Parlo della sua idea che io condivido e sostengo di strutturare in modo federalistico il Pd, per dare vita a un soggetto del Pd del Nord, autonomo dal punto di vista organizzativo, finanziario e strategico».
Il Pd del Nord non era tramontato definitivamente?
«Il fatto che non sia stata accettata questa nostra posizione ha pesato non poco nei risultati elettorali. Basti pensare a Milano dove il Pd ha perso per una manciata di voti. Se il partito avesse avuto un’immagine un po’ più autonomistica il risultato sarebbe stato rovesciato».
Ma il Pd non ha questa immagine e lei ha detto che senza Chiamparino sarà ancora di più romanocentrico...
«Certo, Bersani e Franceschini sono leader politici caratterizzati per un ruolo nazionale».
Non gli riconosce la patente di settentrionali?
«I Nord sono tanti e quello dove il Pd frana è il Lombardo-Veneto. Non è poca cosa visto che Bossi e Berlusconi sono di questa zona. Siamo di fronte a una sperequazione inaudita: i due leader nazionali del centrodestra sono del Lombardo-Veneto e quella regione ha una considerazione da parte del centrosinistra pari a zero. Basti guardare gli assetti ministeriali».
Quelli del governo Berlusconi?
«Nessun ministro di questa area del Nord nei governi di sinistra; tre ministri chiave in quello Berlusconi. In queste condizioni non si può fare nulla. Difficile fare le battaglie con frecce e cerbottana».
Forse al Pd non interessa quell’area. Se la ricorda la battuta di Vincenzo Visco sul Veneto, dove l’illegalità è «consustanziale»?
«Al di là di quello che disse Visco e di quanto ci sono costate le sue dichiarazioni, sta di fatto che l’attenzione del centrosinistra a quest’area è nulla rispetto al peso che ha nel centrodestra. Se ci fosse stato un rappresentante del Nord alle primarie sarebbe stato un segnale importante».
Cacciari con chi si schiera al congresso?
«Parteciperò sostenendo tesi molto generali se me ne sarà data l’occasione, ma senza schierarmi per l’uno o per l’altro. E cercherò di spingere affinché nei programmi ci sia una esplicita dichiarazione a favore di una organizzazione federale del partito».
Oltre al problema geografico, nel Pd sembra essere scoppiata la solita guerra generazionale...
«È evidente. D’altra parte per il rinnovo delle classi dirigenti la scienza politica individua tre strade. La prima è quella rivoluzionaria».
Auspicabile nel Pd?
«No, per fortuna è oltre il nostro orizzonte. Con la rivoluzione la classe dirigente cambia perché cadono le teste».
C’è un’alternativa riformista?
«C’è la cooptazione, quella propria dei partiti organizzati in modo centralistico, o dello pseudopartito di Berlusconi. I voti li prende il capo che, se vogliamo legittimamente, si sceglie una corte di fedeli. Anche la Lega funziona in parte così».
La terza via?
«L’unico modo che il Pd può praticare se vuole rinnovarsi è dare spazio al livello locale. Misurare i leader attraverso le competizioni locali e vedere quelli che hanno più lana da filare. Se non pratica questo percorso, non ha alternative».
Potreste tornare al centralismo, no?
«Non si può. Il Pd non ha né i mezzi né i leader».
Si vuole almeno schierare sull’altro tema che sta tornando di moda?
«Quale?».
Ulivisti contro fan dell’Unione...
«Pietà. Non si può discutere a vanvera di alleanze, e dividere il partito tra chi vuole quelle con la sinistra e chi preferisce l’Udc di Casini e Tabacci. Così è la catastrofe definitiva».
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