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«Le calzature italiane traineranno la ripresa»

Da poco più di tre mesi alla guida dell’Anci, Cleto Sagripanti, quarant’anni appena compiuti, dopo la doverosa «gavetta», è l’amministratore delegato della Manas Spa di Montecorsaro (Macerata), l’azienda di famiglia attiva nel settore calzaturiero dal 1956. Non a caso la sua ascesa al vertice coincide con un ciclo di crescita progressivo, frutto di scelte strategiche come la qualità, la ricerca e l’innovazione di prodotto, la valorizzazione delle risorse umane e un nuovo impulso alla comunicazione e al branding. Ma Sagripanti ha anche altri titoli: da presidente dei giovani imprenditori Anci (2002-2005), infatti, si è distinto per la difesa del made in Italy, l’apertura di show-room collettivi all’estero, la promozione di iniziative per far conoscere il settore al mercato Usa, la realizzazione di corsi di formazione innovativi e altre attività importanti. Tanto che, nel 2007, l’Università di Macerata gli conferì il «Premio di Ateneo» quale imprenditore più innovativo delle Marche.
Presidente, una rassegna di rilevanza mondiale con numeri importanti.
«Voglio sottolineare innanzitutto che è davvero una gran fortuna avere in Italia la fiera delle calzature più importante del mondo, sia per Paesi presenti (oltre 1600 espositori) sia per tipologia di prodotto. Grazie alla lungimiranza di chi mi ha preceduto in Anci. Oggi siamo cresciuti, abbiamo investito molto nella comunicazione e nell’estetica stessa della fiera».
Un flash sul settore...
«Siamo l’unica rassegna al mondo che durante questa lunga crisi non ha perduto metri quadrati... Micam, negli ultimi 4-5 anni, è stabilmente sopra i 70mila metri. E per due edizioni l’anno. Ma riflette anche la situazione del settore. Da anni il calzaturiero italiano ha perso la primissima fascia di mercato (prodotti più economici, ndr) a favore di Cina, Malesia e Singapore. Grazie al costo irrilevante della manodopera ma, soprattutto, alla mancanza assoluta di regole del lavoro. Complice, tuttavia, quell’apertura scellerata delle barriere imposta dal Wto dieci anni fa. Oggi la Cina è diventata sì un’opportunità, ma nel frattempo la produzione annuale del calzaturiero italiano è crollata da 500 milioni di paia a circa 220milioni».
Intanto la crisi economia e finanziaria morde ancora, un virus resistente a qualsiasi antibiotico...
«A mio avviso il nostro settore trainerà la ripresa nei prossimi anni perché nel 2011, dopo 15 anni di perdite di posti di lavoro, siamo riusciti a stabilizzare questa emorragia. Senza contare che in termini di export siamo tornati ai livelli pre-crisi del 2008 grazie alle fasce alte, dalla media fino al lusso, dove rimaniamo leader mondiali. Devo sottolineare che noi rappresentiamo il 5% di tutto il manufatturiero italiano, la stessa quota dell’automotive. Capisco le difficoltà dei tempi che stiamo vivendo, ma forse sarebbe il caso che la politica si accorgesse anche di noi».
Torniamo all’export: libero mercato in Europa per tutti. E protezionismo esasperato da Est a Ovest del mondo.
«Uno studio Anci dimostra che, se cadessero le barriere doganali dell’India (dazi al 30-40%), del Brasile (35%) e della stessa Cina (30%), la produzione delle calzature italiana aumenterebbe del 50% recuperando almeno 100 milioni di paia. Scontiamo, purtroppo, la debolezza politica dell’Europa. Che fine ha fatto il dossier made in aperto da anni? Che fine ha fatto il principio di reciprocità? C’è qualcuno che abbia la voglia di spiegarcelo? Mi risulta che il made in Usa risalga agli anni Trenta, quello del Giappone addirittura ai primi anni del Novecento!».
Provi a ipotizzare l’immediato futuro. Con quali scenari?
«Ci preoccupa il mercato interno. Oltre alla stagnazione dei consumi che si trascina da qualche anno, esiste anche il problema dei pagamenti che in Italia sta diventando cronico. Dovremmo trovare soluzioni, stabilire dei parametri. Non possiamo più fare da banca a nessuno. Buone, invece, le prospettive all’estero. La Russia, ad esempio, che continua a crescere. Ma anche Cina, Giappone, Corea e tutto l’estremo Oriente sono grandi serbatoi di crescita. In Europa, escludendo Italia e Spagna mercati in perenne sofferenza, registriamo risultati positivi in Germania, Scandinavia, Inghilterra. Ottimismo sì, ma sempre cauto. Anche il nostro settore potrebbe essere condizionato da una situazione generale negativa.

Ma ripeto: sono convinto che il calzaturiero trainerà la ripresa. Noi stiamo studiando iniziative per tornare alle assunzioni, magari di giovani. Insistendo sull’importanza dell’aggregazione tra le aziende. È molto importante, ma non tutto lo capiscono».

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