Caos statuto: rischia di vincere chi perde le primarie

La Direzione che vota per il Congresso che però si chiama Convenzione che vota per l’Assemblea nazionale che non è quella Costituente anzi sì, che vota per i candidati alle primarie che però forse saranno inutili perché la parola fine spetterà, ma non è certo, all’Assemblea. E dire che ancora li si sente litigare perché vuoi mettere il «partito pesante», questo «Pd snello» non funziona. Ieri, al termine della Direzione che ha fissato le date di Congresso e primarie, persino l’ufficio stampa s’è avvitato, e ha dovuto correggere quello che aveva scritto solo un’ora prima: «Il congresso si terrà l’11 ottobre e le primarie il 25 e non il 10 e il 24».
Quella delle tappe comunque era la parte più semplice. Lo aveva detto subito Romano Prodi, era il maggio 2007, che il Pd è «impresa titanica ma inevitabile». Adesso che il Titanic sta affondando, tutti guardano torvo lo Statuto. Franco Marini lo definisce «arma di distruzione politica», pare scritto da un «dottor Stranamore» lamenta. Luciano Violante ne chiede la modifica «perché nemmeno alla bocciofila si elegge così un segretario». Francesco Rutelli vuole «procedure più coerenti e rapide» sennò non gioca più.
Poi però vanno a votare e votano tutti assieme, su 150 solo in sette dicono no. E allora eccola, la road map per l’elezione del segretario. Il 23 luglio scade il termine per la presentazione delle candidature, e fin qui. Il 30 settembre bisogna chiudere i congressi dei circoli, vabbè. Poi c’è ottobre. Il 10 si terrà il Congresso. Significa che mille delegati provinciali più il segretario nazionale, i candidati alla segreteria e il presidente della Commissione di garanzia, decideranno chi può correre alle primarie. Come? Eh, una parola. Sono ammessi i tre candidati più votati dagli iscritti che abbiano raggiunto il 5% e tutti quelli che abbiano raggiunto almeno il 15, nazionale e in almeno cinque regioni. Tocca prender fiato ché è solo l’inizio. Il 25 ottobre si va alle primarie, alle quali partecipano iscritti e non iscritti. Se vince uno dei due candidati con il 50% più uno dei consensi è finita. Sennò, si va al ballottaggio. Di nuovo fra il «popolo delle primarie?». Macché: a scrutinio segreto, nell’Assemblea, con procedura tutta interna. Bella democrazia, hanno urlato ieri in molti, inascoltati. La stortura l’ha spiegata Rutelli: le primarie-plebiscito adesso possono essere un serio errore, «perché potremmo avere due maggioranze diverse: una tra gli iscritti, che eleggono i livelli locali, e una alle primarie, aperte a tutti. Salvo poi un ballottaggio tra i due meglio piazzati ristretto a mille delegati di partito».
Il perché le regole siano rimaste tal quali sta nelle speranze dei due sfidanti. Dario Franceschini, che conta sull’appoggio di un animale da partecipazione come Walter Veltroni, punta a vincere le primarie al «primo turno». Pierluigi Bersani, più forte fra i delegati, spera nel ballottaggio. Il che significa che potrebbe verificarsi una bruttura degna di Kafka, con Franceschini al 48% alle primarie e Bersani al 35, ma Bersani eletto dall’Assemblea.
Con l’aggravante del mister X che, nelle speranze di molti, giovani in primis, dovrebbe sparigliare i giochi. Il più corteggiato è Sergio Chiamparino il sindaco di Torino, che però ha il problema di evitare il commissariamento della sua città. Ieri esponenti di peso come Anna Finocchiaro hanno chiesto il rinvio dell’elezione del leader a dopo le elezioni regionali, ricevendo però in cambio un «improponibile» da Franceschini. Del resto, il regolamento è ormai così complesso che pare impossibile uscirne.
Ascoltare Mario Barbi per credere: «Per cambiare lo statuto non serve la maggioranza assoluta dell’Assemblea costituente, basta quella semplice, a seguito della deliberazione del collegio dei garanti che respinse il ricorso degli ulivisti che contestavano per carenza di “quorum” la validità delle modifiche dello Statuto.

I garanti stabilirono, con una sottile argomentazione giuridica che distingueva le funzioni dell’Assemblea nazionale da quelle dell’Assemblea Costituente, pure esercitate dallo stesso organismo, che per modificare lo Statuto non c’era bisogno del “quorum”». Chiaro?

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