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"Capitalismo devastato". Scontro tra Bertinotti e industriali

Matezemolo: "Parole molto gravi". Prodi replica all'ambasciatore Usa: "Nessun intervento del governo"

"Capitalismo devastato". Scontro tra Bertinotti e industriali

Roma - Confindustria contro Bertinotti per la vicenda Telecom. Il presidente della Camera in un’intervista televisiva parla del capitalismo italiano come «devastato». E lo definisce «un estremo di impresentabilità». Per gli industriali è il segno che i rapporti fra il sistema delle imprese, il governo e la maggioranza sono vicini alla rottura. Così, in serata, arriva una nota durissima della Confindustria. Che denuncia: le prese di posizione del presidente della Camera «confermano purtroppo il clima anti-impresa di larghi settori dell’attuale maggioranza che avevamo già avuto occasione di denunciare. Riteniamo particolarmente grave - prosegue la nota - che considerazioni di questo genere vengano da un’altissima carica istituzionale». Non senza polemica, gli industriali sottolineano come «forse il modello di capitalismo che piace è quello che ha ridotto l’Alitalia nelle condizioni attuali». E chiudono: «Certo il dibattito sulle vicende economiche che riguardano il Paese sta toccando livelli che sconcertano e preoccupano».

Se ne rende conto Paolo Gentiloni. In Parlamento prova a difendere l’operato del governo sull’intera vicenda Telecom. E da Seul ci prova anche Romano Prodi. «Non è corretto dire - osserva il presidente del Consiglio - che vi sia stato intervento del governo nel caso Telecom». E annuncia: «Spogli mi ha fatto sapere che il suo pensiero è stato travisato». Spogli è l’ambasciatore americano che l’altro giorno ha spiegato come l’At&t si sia ritirata dalla corsa all’acquisto del 33% di Olimpia (la società con cui Tronchetti controlla il 18% di Telecom) per le forti ingerenze politiche. «L’unico atto del governo - ricorda Prodi - è l’emendamento Gentiloni, peraltro non formalmente varato, che mira a rafforzare i poteri dell’Authority delle Comunicazioni».

E ora si viene a sapere - lo rivela il ministro delle Comunicazioni - che seppure rafforzata nei suoi poteri l’Agcom «non potrà imporre la separazione della rete d’infrastrutture da Telecom». Insomma, lo spauracchio che ha fatto allontanare At&t dall’Italia non c’è più. Lo scorporo della rete (che per gli americani significava eliminare un asset societario attraverso una modifica delle regole a partita iniziata) scompare dall’agenda del governo. O meglio, l’emendamento verrà presentato al disegno di legge Bersani sulle liberalizzazioni e dovrebbe prevedere maggiori poteri per la separazione funzionale e di governance»; ma il suo contenuto non autorizzerà l’Agcom a obbligare Telecom a disfarsi della rete d’infrastrutture.

Sull’argomento, Gentiloni sottolinea che non ha intenzione di «pubblicizzare» la rete. Ma ha in mente «il modello di una rete con forti e severe regole pubbliche». Per Lorenzo Cesa (Udc) «le dichiarazioni di Gentiloni fanno a pugni con il comportamento di esponenti del governo tenuto nelle ultime settimane».
E proprio la pressione politica sulla vicenda - ha ricordato l’altro giorno l’ambasciatore americano - ha convinto l’At&t a uscire dall’operazione. «Da noi esistono regole diverse», ha detto. Ma Spogli è stato travisato: dice Prodi. Così come secondo il presidente del Consiglio il governo non ha mai fatto pressioni sull’argomento. Tant’è che declassifica a «puro titolo personale» le dichiarazioni rese «da ministri e/o da esponenti politici».

E il dipartimento di Stato americano, commentando le prese di posizioni dell’ambasciatore a Roma, ricorda che i rapporti fra Stati Uniti e Italia «sono forti, ampi e solidi». «A volte succede di avere differenze di idee, guardate quante volte accade a noi con alleati come Gran Bretagna e Canada, ma questo non ha alcuna incidenza sullo stato delle relazioni fra i due Paesi».

Canada e Gran Bretagna, però, non hanno ministri che chiedono decreti per modificare regole di mercato; per di più a operazioni già avviate.

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