Cappellacci, Carboni e l’aiuto dell’Espresso

L’interrogatorio del governatore sardo davanti ai pm: «Ho conosciuto il faccendiere in campagna elettorale. Si offrì lui e mi presentò Caracciolo. L’editore garantì che la Nuova Sardegna non mi avrebbe attaccato»

Cappellacci, Carboni e l’aiuto dell’Espresso

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

L’obiettivo di Ugo Cappellacci, presidente della Regione Sardegna indagato nell’inchiesta sull’eolico, era uno solo: vincere il pregiudizio degli inquirenti romani a proposito della sua asserita «affiliazione» alla P3 di Totò, Peppino e Carboni. Provare, carte alla mano, che quanto millantava al telefono la cricca col grembiulino virtuale, a partire dalle pressioni esercitate su di lui per fare soldi con l’energia alternativa nell’isola, non ha avuto alcun seguito come peraltro ammesso dallo stesso Flavio Carboni a verbale («l’ho sostenuto a Cappellacci, ma poi ho avuto solo svantaggi»). Stando ai volti estremamente soddisfatti degli avvocati del governatore, Guido Mancabitti e Alessandro Diddi, subito dopo l’interrogatorio, Cappellacci è riuscito nell’impresa. Il faccia a faccia tra i pm romani e il presidente della regione Sardegna è durato a lungo e si è concluso nel cuore della notte fra il 16 e il 17 luglio. E’ andata così.

Si è cominciato con la contestazione di una delle poche «operazioni» che la presunta «loggia Carbonara» avrebbe messo a segno. Ossia la nomina a presidente dell’Arpas di Ignazio Farris, secondo l’accusa voluta da Carboni, sponsorizzata da Denis Verdini e «concessa» da Cappellacci. Scopo, consentire a Farris di gestire le pratiche del business dell’eolico. Cappellacci ha ammesso che quel nome gli era stata caldeggiato da Verdini, ma di essere all’oscuro del presunto «progetto» che i «Carbonari» avevano in mente intorno a quella nomina. Della quale, comunque, Cappellacci ha rivendicato la regolarità, essendo avvenuta «sulla base di una commissione che aveva indetto una procedura a evidenza pubblica». E ai pm che gli hanno contestato i «criteri non meritocratici» seguiti per la nomina di Farris, il presidente sardo ha replicato: «Per questo e per tutti gli incarichi di direzione generale l’evidenza pubblica non prevede una graduatoria meritocratica, ma solo una preselezione per assicurarsi che i candidati abbiano i requisiti necessari, per poi procedere a una scelta basata sullo spoil system».

Le toghe romane che ipotizzano l’esistenza di una associazione segreta hanno poi puntato sui rapporti con Carboni. «Lo conosco - ha replicato Cappellacci - perché durante la campagna elettorale, nella seconda metà del 2008, si propose per dare una mano». Ed è in questo senso che «mi presentò il principe Carlo Caracciolo, accompagnandomi a casa sua, a Roma». Scopo dell’incontro, in via della Lungaretta, era tentare di evitare che, durante la campagna elettorale, il quotidiano del gruppo Espresso La Nuova Sardegna rappresentasse una «spina nel fianco» del candidato Pdl. Una «cena molto piacevole» alla quale avrebbero partecipato, oltre a Carboni, al Governatore e al Principe, anche il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, che avrebbe nell’occasione parlato dei diari di Mussolini. La serata romana si sarebbe conclusa con la promessa da parte di Caracciolo (scomparso a dicembre di quell’anno) che il quotidiano sardo del gruppo non avrebbe attaccato Cappellacci.

Il governatore ha ammesso anche altri incontri romani dei quali gli inquirenti gli hanno chiesto conto. Ossia i meeting nella casa di Verdini, tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, che per la procura di Roma erano finalizzati a perfezionare la strategia per sbarcare sull’isola col business dell’eolico. Cappellacci ha addirittura spiegato che oltre agli incontri contestati «ce ne sono probabilmente stati altri che voi non avete individuato», negando però qualsiasi sfondo illecito, che per i pm emergerebbe invece dalle conversazioni dei «Carbonari» intercettate in contemporanea a quegli appuntamenti. Chiacchiere dalle quali, secondo i magistrati, Cappellacci verrebbe indicato dagli altri come «organico» alla presunta loggetta, e pronto a piegarsi a ogni richiesta. Lui ha tagliato corto: «Preferisco che parlino le mie azioni, e non ciò che gli altri pensavano che io potessi fare né ciò che volevano che io facessi». Quasi una premessa a una lunga e dettagliata spiegazione di come lui ha «cambiato rotta» sull’eolico rispetto al suo predecessore Renato Soru, «blindando» dalle speculazioni private gli investimenti nel settore energetico verde. Prima «ho revocato l’accordo di programma, che prevedeva di affidare lo sviluppo dell’eolico a un grande partner privato da individuare». Poi, il 27 novembre 2009, «ho presentato al consiglio regionale una proposta di regolamento che attribuisce all’assessorato all’Industria (e non all’Ambiente, da cui dipende l’Arpas di Farris, ndr) gran parte dell’iter di rilascio delle autorizzazioni per le concessioni agli impianti eolici».

Un punto che va in direzione contraria ai progetti del «gruppo», che si ritrova col suo «uomo» Farris seduto su una poltrona svuotata quasi d’ogni potere. Cappellacci racconta ancora che, dopo una visita a Navarra, in Spagna, decise di sposarne il modello energetico «a emissioni zero e a gestione pubblica». E insomma quel regolamento approvato a marzo, che riservava la gestione dell’energia eolica in Sardegna all’ente regionale, per Cappellacci altro non è che il punto di arrivo di un percorso coerente.

Il contrario di quanto sostenuto anche nell’ordinanza di arresto di Carboni, ossia che quel provvedimento era frutto della paura, poiché a marzo scorso era già nota l’inchiesta fiorentina sul G8 che vedeva Verdini indagato. Il punto è decisivo. Se Cappellacci ha dimostrato con carte e date di aver ostacolato i progetti del gruppo già in tempi non sospetti, la ricostruzione della procura adesso rischia il boomerang.

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