Carige, il trionfo degli argenti genovesi

Un repertorio di oltre mille esemplari che offre agli studiosi spunti e confronti

Carige, il trionfo degli argenti genovesi

Centinaia di genovesi stanno ricevendo il bel volume «L’argenteria genovese del Settecento», di cui parliamo a fianco. Una iniziativa della Carige e della Fondazione, sempre legate quando si tratta di dare una mano al rilancio della cultura e delle tradizioni di casa nostra.
Un momento particolarmente felice, forse il più alto, della creatività degli argentieri genovesi è l’oggetto di questa indagine pluriennale della quale questo volume raccoglie i risultati toccando i rapporti interni all’Arte dei fràveghi, le ragioni e le aspirazioni dei committenti, la varietà e la peculiarità della produzione.
La ricerca sul campo ha considerato un territorio che comprende Genova, il suo antico Dominio e le aree raggiunte da quella specifica cultura: dunque la Corsica e la Sardegna, il Nizzardo, il basso Piemonte e la vicina Toscana.
Un repertorio di oltre mille esemplari in buona parte inediti, ordinati cronologicamente e per tipologie «sacre» e «profane», evidenzia le dinamiche dell’evoluzione stilistica e fornisce agli studiosi, per la prima volta, un ampio e ordinato tappeto di confronti. I punzoni personali dei maestri, rilevati sui pezzi o attestati su base documentaria, sono ordinati in un apposito prospetto. Agli agentieri e alle loro carriere è inoltre dedicato un Dizionario biografico ricco di oltre settecento nominativi, risultato tanto più sorprendente per un secolo la cui produzione era da sempre ritenuta anonima.
Gli autori del volume Franco Boggero e Farida Simonetti raccontano nelle pagine iniziali:
«Una sfida diversa, e certo più difficile, proveniva dall’imponente massa dell’argenteria settecentesca, sacra e profana, punzonata con la Torretta. Nel corso di tutto il Settecento - secolo dell’ineluttabile declino della vecchia Repubblica, secondo un facile e ricorrente cliché - i fràveghi genovesi avevano saputo garantire una produzione dal tenore qualitativo molto alto, e così ben connotata e riconoscibile nei suoi caratteri “indigeni”, soprattutto nella prolungata fase del rococò, da riservarsi una futura collocazione di riguardo presso il pubblico degli amatori e dei collezionisti. Nel Settecento, e non a caso, Genova resta il principale mercato italiano dell’argento; l’economia della città è sempre caratterizzata dalla grande mole delle operazioni speculative, che coinvolgono una crescente schiera di privati rentiers, mentre cresce parallelamente il numero degli orefici impegnati a soddisfare richieste di status symbol forse non più così clamorose, ma certo assai più diffuse. L’idea di sottoporre la produzione di questo periodo a un’analisi complessa, indirizzata su linee di ricerca distinte e coordinate, ci attirava poiché le indagini archivistiche (per la verità abbastanza sporadiche) condotte da alcuni studiosi sulle orme del benemerito, classico e ormai vetusto testo di Giuseppe Morazzoni (1951) lasciavano intravedere la possibilità di riscattare gli argenti genovesi da una mortificante condizione di anonimato.
Attraverso la sistemazione in un database dei nomi degli argentieri individuati si voleva fornire un primo strumento per sciogliere le iniziali di molti punzoni personali. E del positivo risultato di tale intento siamo stati noi stessi i primi sperimentatori: utilizzando le schede biografiche, infatti, un numero crescente di argenti trovava la sua paternità e ci costringeva a continui aggiornamenti: fino a quando, di fronte alla crescita esponenziale delle opportunità offerte dall’uso di questo strumento, abbiamo deciso di fermarci, rinunciando a inserire - essendo il libro ormai in bozze - pezzi straordinari a completamento di singole personalità di argentieri (un esempio per tutti, il raffinato ostensorio della parrocchiale di Borgomaro con le figurine a tutto tondo di Adamo ed Eva, la data 1736 e la firma di Cristoforo Luxardo).

Dal canto suo, l’accurata repertoriazione di tutte le tipologie documentabili, anche di quelle maggiormente penalizzate dalla requisizione del 1798 e d a innumerevoli furti e vendite abusive nei due secoli successivi, ci ha consentito di creare un quadro ordinato e leggibile, dalle intriganti implicazioni tassonomiche, in cui anche gli argenti non datati possono trovare una precisa collocazione».

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