Carlo sotto torchio per la morte di Diana

Il suo portavoce conferma l’incontro: «Non abbiamo nulla da nascondere».

Lorenzo Amuso

da Londra

L’ombra dell’omicidio premeditato torna ad aleggiare sulla tragica fine di Lady Diana. A distanza di oltre otto anni dal suo schianto mortale in un tunnel di Parigi, e nonostante le conclusioni della magistratura francese che già nel 1999 aveva archiviato il caso come una tragica fatalità causata dallo stato di ubriachezza del suo autista, nei giorni scorsi gli inquirenti di Scotland Yard hanno voluto interrogare il principe Carlo. È stato un portavoce di Clarence House, la residenza londinese dell’erede al trono, a confermare l’indiscrezione apparsa sul domenicale Sunday Times. Una rivelazione che una volta di più getta nell’imbarazzo la famiglia reale, imbrigliata ancora oggi in un passato sul quale avrebbe preferito calasse definitivamente il sipario.
L’interrogatorio infatti rinnova il sospetto di un micidiale complotto ai danni di Diana Spencer, vittima predestinata del cinismo reale. Una tesi inquietante da sempre sostenuta con forza da Mohammed al Fayed, il magnate anglo-egiziano padre di Dodi, l’allora fidanzato della principessa, anch’egli morto nell’incidente francese. Secondo il proprietario dei magazzini Harrods quanto successo sotto il ponte dell’Alma a Parigi, la notte del 31 agosto ’97, non è stata una sciagura accidentale. Al contrario, un piano ordito nei minimi dettagli per impedire che un giorno l’ex moglie del primogenito di Elisabetta II - a cui era rimasto il titolo nobiliare anche dopo la separazione da Carlo nel 1992, e il successivo divorzio - potesse unirsi in matrimonio ad un individuo di sangue non britannico, per di più di fede musulmana.
Verità o fantasia, è proprio per fugare questa estrema ipotesi che Carlo è stato ascoltato da John Stevens, già capo della polizia londinese. La richiesta dell’interrogatorio è partita dal «royal coroner» Michael Burgess, il super-procuratore competente per le indagini relative ai casi di morte violenta nell’ambito della famiglia reale. «Clarence House può confermare che Lord Stevens ha incontrato il principe di Galles di recente nell’ambito di un’inchiesta sulla morte della principessa di Galles - ha ammesso un portavoce -. Certamente non forniremo in nessun modo dettagli, ma non abbiamo nulla da nascondere». L’esito dell’inchiesta francese aveva accertato che l’incidente era stato provocato da Henri Paul, l’autista della coppia, che - ubriaco - si era lanciato in una folle corsa per seminare i paparazzi al seguito. Un verdetto che aveva lasciato più di una zona d’ombra (proprio ieri un esperto neozelandese di medicina legale ha escluso che Paul fosse ubriaco) sulla quale Burgess, cui è stata affidata la riapertura del caso nel 1999, ora vuole fare chiarezza. A rafforzare la tesi del complotto negli ultimi mesi ha contributo la scoperta di una lettera, scritta da Diana al suo ex maggiordomo Paul Burrell, in cui la principessa prefigurava la sua imminente morte, macabramente del tutto simile a quanto poi avvenuto. «Questa particolare fase della mia vita è la più pericolosa, mio marito sta progettando un incidente alla mia auto per spianare la strada al suo matrimonio (con Camilla, ndr)», scriveva Lady D solo dieci mesi prima di morire. Numerosi analisti hanno liquidato la missiva come un groviglio di parole farneticanti, a testimonianza dello stato confusionale dell’autrice.

Secondo gli inquirenti, viceversa, si tratterebbe di un grido disperato di dolore da considerare con attenzione. Non è emerso nulla dall’interrogatorio cui è stato sottoposto l’erede al trono, ma quella lettera rischia di pesare come un macigno sul futuro di Carlo.

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