Ma il Carroccio si preoccupi dei riti celtici

Le ramanzine contro le celebrazioni vengono da uno strano pulpito...

Secondo Roberto Calderoli le celebrazioni per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia sono una perdita di tempo. Rispondendo, domenica, a una domanda di Lucia Annunziata il ministro leghista ha detto d’ignorare se esponenti importanti del Carroccio saranno domani a Genova dove il presidente Napolitano ricorderà la spedizione dei Mille. Ma ha lasciato intendere con molta chiarezza che l’evento lo lascia del tutto indifferente. L’Unità d’Italia, ha affermato vigorosamente, troverà il suo sbocco nel federalismo. Questo importa e non vacui tornei oratori.

In scia a Calderoli altri militanti o simpatizzanti della Lega hanno detto che il federalismo è l’essenziale, «il resto sono chiacchiere finiane». Prese di posizione risolute, dunque, contro un certo modo solenne e sterile di far politica e di maneggiare la storia; un modo che privilegia parate, galloni, stendardi in danno della concretezza operosa.

Ho in uggia i luoghi comuni, i discorsi ampollosi delle alte autorità, i raduni di auto blu e le promesse di chi ne è dotato. Ho inoltre l’abitudine di valutare l’Unità d’Italia per ciò che veramente fu - e fu moltissimo, pur con tanti aspetti oscuri - e non per ciò che si pretende sia stata nelle frasi alate dei tromboni. Riconosco le iniziative adottate per la ricorrenza non sono molto incisive e hanno un riverbero modesto nell’opinione pubblica. Potrei dunque essere d’accordo con Calderoli, in linea di principio, per il suo ripudio delle declamazioni gloriose e virtuose cui troppo spesso seguono atti che di virtuoso non hanno nulla. Gli italiani hanno un gran bisogno di ascoltare cose serie, che li aiutino a essere seri. Di questa merce la politica non ne fornisce molta. Se la Lega ci vuole sobri, non possiamo che compiacercene.

Ma per il tono e per l’occasione che l’ha determinata la predica viene, a mio avviso, dal meno qualificato dei pulpiti. Ci sarà di sicuro in Italia - un premio a chi lo trova - qualche personaggio illustre allergico ai convegni di maggiorenti e agli squilli d’un patriottismo di maniera. Se per retorica s’intende l’esaltazione dei valori nazionali la Lega ne è sicuramente immune. Ma immune dalla cartapesta celebrativa? Per carità, può essere considerata in proposito una primatista mondiale. Non le piace che si riparli delle navi che mossero verso la Sicilia con i volontari di Garibaldi. Senza dubbio condivide l’idea che quei Mille fossero dei poco di buono e non, come è stato autorevolmente scritto, l’esercito più «colto» - con i suoi tanti studenti e intellettuali - che la Penisola abbia mai conosciuto.

Pollice verso della Lega per i Mille. Ma tantissimi altri simboli, e altri guerrieri, e altri miti sono dalla Lega onorati ed esaltati. Nella ritualità suggestiva la Lega s’è esercitata con straordinario fervore. Il suo leader Umberto Bossi e alcuni tra i suoi massimi dignitari sono andati alle sorgenti del Po per il rito delle ampolle di quell’acqua poi riversata sulla pianura padana. Notabili leghisti hanno officiato nozze celtiche e capodanni celtici. Sono stati attratti dal fascino dei misteriosi druidi prima di riposizionarsi compunti nell’ovile di Santa Madre Chiesa.
Il prato di Pontida è assurto a simbolo leghista, e in quell’ambito sacrale il popolo in camicia verde ha dato sfogo ai suoi entusiasmi. S’è voluto fortemente un film - non un successo di pubblico - su un personaggio forse leggendario, Alberto da Giussano, il guerriero di Legnano. Niente da obiettare, in un Paese democratico ogni cittadino, ogni gruppo, ogni partito è libero di scegliere i suoi riferimenti ideologici e i suoi riferimenti storici. Basta che la Lega non voglia dare a noi risorgimentalisti, vil razza dannata, lezioni di pragmatismo dialettico e di rinuncia agli orpelli della facondia. Se poi si arriva alla sostanza dei simboli, qualche argomento gli «unitari» l’hanno. Non voglio in alcun modo sminuire la rilevanza di Alberto da Giussano e del giuramento di Pontida. Ma per i suoi effetti sull’attuale assetto dell’Italia l’Unità è stata forse un tantino più importante.
Dice Calderoli che il federalismo è una scommessa fondamentale. Lo credo anch’io.

E mi piacerebbe che i capi leghisti non si limitassero a enunciare la diminuzione dei costi pubblici, in una Italia federale, come se fosse una verità acquisita, ma spiegassero perché, essendosi sempre verificato che ogni decentramento si è tradotto in un appesantimento - con il centro che manteneva i suoi organici e la periferia che ne creava di nuovi - questa volta dovrebbe avvenire il contrario. Doppiamo fidarci sulla parola?

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