«Le carte su Boffo? Sono tutte vere»

Appena ha letto la risposta ai lettori di Dino Boffo su Avvenire si è riconosciuto subito nell’identikit del «molto informato» ex collaboratore di Avvenire che per «saldare qualche vecchio conto» sparge fango sul suo ex direttore. «Parlava di me, ho collaborato con la pagina politica del suo giornale per tre anni e mezzo, senza contratto, e per primo sul mio blog ho scritto della sua condanna per molestie. Ma è tutto vero, altro che patacche o veline. Invece di parlare di attacchi disgustosi Boffo dovrebbe raccontarci la verità. La privacy per un uomo pubblico come lui non può diventare un paravento da ipocriti». Mario Adinolfi, esponente Pd di fede franceschiniana, non è né un mangiapreti né un berlusconiano. Cattolico (militava nella Margherita, ha lavorato per la Radio Vaticana), feroce sostenitore del Noemi-gate, ora assiste con imbarazzo alla fulminea conversione anti gossip del suo partito sul Boffo-gate: «Il Pd dovrebbe difendere la libertà di informazione sempre, non solo per la stampa amica. Feltri ha scritto di fatti incontrovertibili e ha rotto il muro di omertà sulle relazioni omosex del direttore di Avvenire. La sentenza di Terni è un fatto, una notizia che in qualsiasi paese del mondo sarebbe finita immediatamente in pagina».
Ma come Adinolfi? Anche lei, già aspirante segretario del Pd, si mette a spacciare patacche?
«Macché patacche, qui c’è una sentenza di un tribunale e di quella si deve parlare. L’ho scritto il 20 settembre del 2005, raccontando il fatto. Nessuno allora mi diede del pataccaro, non ebbi querele né atteggiamenti di risentimento. Forse perché pensavano che la cosa potesse rimanere sotto silenzio».
Lei chiese quei documenti al gip di Terni, Augusto Fornaci.
«Formalmente, per iscritto. Andai di persona a Terni e la cancelleria identificò gli estremi della sentenza. Ma poi, quando capirono a chi si riferiva, mi negarono il documento».
Con che motivazioni?
«Dicendo che quella vicenda coinvolgeva “relazioni interpersonali pregresse” e che quindi gli atti non potevano essere resi pubblici».
Anche se c’è un articolo di legge per cui gli atti di un procedimento penale dovrebbero essere accessibili.
«Certo, e questo dice qualcosa sulla magistratura italiana».
Boffo risponde: è una montatura giornalistica.
«Invece il decreto penale di condanna è un fatto. E l’informativa, che non conosco e che ho appreso dal Giornale, corrisponde sicuramente a quel che è noto dei comportamenti di Boffo».
Vuole forse vendicarsi di Boffo perché non l’ha mai assunta all’«Avvenire»?
«Ma per favore. Lo dico pasolinianamente: non è una battaglia sulla persona ma sulle idee. A Boffo va il mio pensiero cristiano, perché immagino la sua vergogna e il suo dolore. Quello che è inaccettabile è che in Italia la verità diventi sempre pirandelliana, per cui ce n’è una, nessuna e centomila. Non è così, la verità è una sola e in questo caso è molto chiara. E poi, tirare in ballo i morti mi è sembrato una difesa sconvolgente da parte di un cristiano».
I morti?
«Boffo dice che le telefonate moleste partivano dal suo cellulare ma non era lui a farle, bensì un ragazzo, che guardacaso però è morto di overdose e non può più smentire».
Lei è colpevolista.
«No, ma quella è una giustificazione che mi inquieta molto. Boffo, per fugare i dubbi, invece di sbraitare potrebbe raccontare in prima persona quella vicenda. Spiegare perché nei confronti di quella donna sono stati pagati dei soldi. È lei la vera vittima in tutta questa vicenda».
Si parla di privacy violata.
«La privacy dei personaggi pubblici non esiste, hanno dei doveri di coerenza che ho reclamato molto duramente per Berlusconi. E se uno predica moralità e sobrietà dei costumi deve essere sobrio nei costumi. È un’ovvietà».
Libertà di inchiesta per tutti, non solo per «Repubblica», quindi?
«Certo, pretendo che la mia parte politica sia onesta e difenda la libertà di informazione di tutti, anche dei giornali non schierati con noi. C’è un problema intellettuale a sinistra, questa ipocrisia va superata».
La Cei ha reagito duramente.


«L’ipocrisia invece fa male soprattutto alla credibilità della Chiesa. Se si comporta come un potere, perde di forza. È questo il male che stanno facendo Dino Boffo e chi lo copre. Quando si sale su una cattedra morale bisogna essere degni di quella cattedra».

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