Il caso L’ultimo delirio del «politically correct»

Peggio del culturalmente corretto c’è solo l’ignoranza. E peggio dell’ignoranza, la malafede.
Difficile capire se prevale l’ossessione del politically correct o l’ignoranza o la malafede nella proposta-choc di una organizzazione non governativa di ricercatori e professionisti, «Gherush92» (consulente speciale con il Consiglio Economico e sociale delle Nazioni Unite, cosa che accredita, purtroppo, l’associazione) secondo la quale la Divina Commedia andrebbe essere eliminata dai programmi scolastici o, quanto meno, letta con maggiori accortezze, contenendo «stereotipi, luoghi comuni, frasi razziste, islamofobiche e antisemite».
La cultura del piagnisteo non conosce limiti, né senso del pudore. Né della critica. Valentina Sereni, presidente di «Gherush92», ha dichiarato ieri che il poema di Dante «presenta contenuti offensivi e discriminatori sia nel lessico che nella sostanza e viene proposta senza che via sia alcun filtro o che vengano fornite considerazioni critiche rispetto all’antisemitismo e al razzismo». Sotto accusa, in particolare, alcuni canti dell’Inferno, tra i quali il XXVIII (quello di Maometto «rotto dal mento infin dove si trulla») e il XXXIV (quello di Giuda, dover il significato negativo di giudeo sarebbe esteso a tutto il popolo ebraico) e del Purgatorio, come il XXVI (quello dove sono puniti i lussuriosi e i sodomiti). «Non invochiamo né censure né roghi - ha precisato Sereni - ma vorremmo che si riconoscesse senza ambiguità che nella Commedia vi sono contenuti offensivi (sic) e razzisti (sic) e categorie discriminate (sic)». «L’arte - ha concluso - non può essere al di sopra di qualsiasi giudizio critico».
Vero. Ma neppure al di fuori di una semplicissima contestualizzazione storica. Pensare di interpretare e giudicare la Divina Commedia con i criteri, i principi, l’impostazione filosofica e culturale di oggi, declinandoli al pensiero dell’uomo di sette secoli fa - è delirante. Oltre che inconcepibile didatticamente. E per «contestualizzare», ci sono già, e ricchissimi, gli apparati critici. Come sa bene chiunque abbia studiato la Commedia nelle più diffuse edizioni scolastiche, dal Sapegno al Bosco-Reggio al Pasquini-Quaglio...
E comunque, come è noto e ripetuto, se dovessimo giudicare con i criteri etico-politici di oggi i classici della cultura occidentale, allora non si dovrebbe leggere Moby Dick, perché offende gli animalisti; né Pippi Calzelunghe, pedagogicamente pericoloso; né I tre moschettieri, irrispettoso sul fronte delle quote rosa...
Sdegno, ironia, sorpresa. Ieri nel mondo intellettuale italiano si è detto di tutto a proposito del j’accuse di «Gherush92». Hanno parlato docenti universitari, critici letterari, presidi, scrittori, attori. Dal premio Strega Edoardo Nesi («Bisognerà che questa idea revisionista che gira per il mondo si plachi prima o poi») a Gigi Proietti («Non mi risulta che Dante sia stato diseducativo per qualcuno...»).

Come ha sottilmente ironizzato Maurizio Cucchi, poeta, i vantaggi che è in grado di dare un poema come la Divina Commedia, forse è il più grande di tutti i tempi e di tutte le letterature, sono abbondantemente superiori a qualsiasi rischio di incomprensione.
Dalla stucchevole moda del politicamente corretto alla letale dittatura dell’ignoranza, il passo è (stato) fatto.

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