Il caso Minzolini

Al Tg1 non hanno mai visto altri telegiornali. Quando li senti parlare i colleghi in rivolta per la sostituzione di tre conduttori dicono tutti la stessa cosa: «Una cosa del genere alla Bbc non sarebbe successa. Neanche alla Cnn, neppure nella tv pubblica francese». Convinti che il loro tg sia il più importante del pianeta, il più autorevole, il più puntuale, il più preciso, il più serio, evidentemente non si scomodano di mettersi a guardare il lavoro degli altri. Hanno mai visto France 24? Conducono ragazzi under 35: belli, bravi, veloci, competenti. Hanno visto la Cnn? E Fox? Magari c’è qualcuno che non conosce le lingue: gli basti togliersi quel senso paradossale di superiorità e guardarsi mezzora di SkyTg24. Lì ci sono volti freschi, sconosciuti fino a qualche mese fa, senza arie da grandi anchorman o anchorwoman, però preparati, sorridenti, capaci, colti. La tv va avanti, e una parte del Tg1 vorrebbe riportarla agli anni Cinquanta. C’è una strana atmosfera da intoccabili che emerge dal chiacchiericcio pesante e insistente che si fa tra i banchi dei ribelli anti-Minzolini. Un’aria da casta, da gruppo al di sopra del tempo e dello spazio, del mercato, del sistema televisivo e di quello dell’informazione. Protestino pure perché ritengono che il direttore abbia epurato i tre conduttori che secondo la vulgata gli sono invisi.
C’è una quota parte di risentimento accettabile. Però poi prendano il telecomando e si confrontino col resto: il Tg1 che immaginano i Pasdaran dell’informazione paludata è perdente. Cambia il mondo, cambia la tv: anche il Tg2 ha cambiato i volti della conduzione. C’è stato qualche scossone, ci sarà stato qualche scontento, però la questione s’è risolta lì. In Mediaset lo stesso: al Tg5 sono arrivate facce nuove e giovani. Li hanno provati, funzionano, continuano. È un’equazione lineare eppure incomprensibile per il Tg1. Perché? Sicuri che sia soltanto la rivendicazione delle professionalità dei colleghi che vengono tolti dal video? L’impressione è che esista il diritto eterno a rimanere il volto del telegiornale: una volta arrivato su quella poltroncina, uno non può più essere spostato. Non è bravo? Sbaglia a leggere il gobbo? Fa niente. C’è la sensazione che lo status valga più della capacità: il volto del Tg1, a differenza di quanto avviene altrove, si sente il padrone del telegiornale. Si abbonda in presunzione, in autoreferenzialità, in egocentrismo. Ma non erano quelli dell’autorevolezza, del giornalismo al di sopra delle parti, del ruolo istituzionale del servizio pubblico? Per decenni i volti del Tg1 si sono riempiti la bocca così e adesso cadono miseramente sulla popolarità, su quel perverso desiderio di andare dal fruttivendolo per sentirsi dire: «A dottò, l’ho vista ieri sera... ammazza quanto è bravo». E così le inviate in pashmina, conduttrici da tavolo che a un certo punto si fiondano in territori ostili con tanto di velo in testa per sentirsi Christiane Amanpour almeno per un’ora. Oppure che dall’estero mostrano con orgoglio quel look finto trasandato con capello impazzito che fa tanto inviata da battaglia. L’illusione della notorietà del conduttore è effimera quanto quella dei protagonisti del Grande Fratello: appena gli tolgono le telecamere si sentono morire. Ricambio? Macché. Vogliono arrivare in diretta fino alla pensione. Una ricca pensione, perché l’indennità video aumenta lo stipendio, arrotonda quello stile di vita che la notorietà già aiuta. Allora un direttore non può avere il diritto di scegliersi i suoi volti, perché deve tenersi quelli che già ci sono. E loro, le facce da Tg1, si identificano col loro prodotto al punto da non riuscire a distinguere il ruolo e la professione con la propria vita. Così finisce che Maria Luisa Busi, salvata dall’epurazione nonostante anche lei non sia per niente vicina al direttore Augusto Minzolini, si senta non una persona, né una giornalista, ma si senta il Tg: «Non conta forse la fidelizzazione del pubblico rispetto ai volti storici?». Come se uno guarda il Tg1 per lei. Ma il giornalista non era un servitore dell’informazione? E poi quella certezza che sia la gestione di un telegiornale a far calare gli ascolti: «Incontro gente che mi dice “non vi guardo più”». Mai il dubbio che il pubblico si sia un po’ stancato delle solite facce. La Busi dice che il suo Tg fa schifo: evidentemente non condivide nulla di quello che legge. Legittimo come le proteste per lo spostamento dei tre colleghi.

Però uno può sempre dimettersi, se crede che la sua dignità venga calpestata da notizie troppo leggere o dagli editoriali del suo direttore. Si può mollare, solo che nessuno lo fa. Perché mollare il video costa troppo: si perde popolarità e si perdono soldi.

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