da Milano
Allultimo, un passo indietro. Una nota del ministero della Giustizia sblocca un cortocircuito istituzionale. Il ministro Roberto Castelli non si costituirà in giudizio davanti alla Corte Costituzionale nel conflitto di attribuzioni sollevato dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sulla questione della grazia a Ovidio Bompressi. «Uniniziativa legata alla volontà di chiarire una volta per tutte la questione. Non vi è alcuna volontà di scontro». Fine di un braccio di ferro durato cinque anni. Da quando, nel luglio del 2000, lex militante di Lotta continua condannato a ventidue anni di reclusione per lomicidio del commissario Luigi Calabresi (come Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani), fa richiesta di grazia. Passano tre anni, la domanda viene archiviata dal ministro Castelli. La prima frattura. Nellottobre del 2003, Ciampi comunica al Guardasigilli - con malcelata irritazione - di voler essere «regolarmente informato dora innanzi della conclusione di tutte le istruttorie in materia di grazia».
Cinque mesi dopo va anche peggio. Nellordine, in marzo la Camera boccia la proposta di legge Boato, che avrebbe assegnato al Capo dello Stato il potere di concedere autonomamente la grazia. Quindi, in aprile, Ciampi chiede a Castelli di aggiornare il fascicolo riguardante Bompressi (ai domiciliari per motivi di salute), e di istruirne uno per lex leader di Lc Adriano Sofri. Inamovibile, Castelli oppone il «gran rifiuto».
Infine, nel giugno di questanno, la decisione del presidente della Repubblica di sollevare davanti alla Consulta il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Secondo il Quirinale sarebbero stati violati gli articoli 87 della Costituzione (poteri del Capo dello Stato) e 89 (controfirma ministeriale sugli atti del Presidente della Repubblica). «È naturale - si legge sul ricorso depositato dal Colle - che lesercizio di un potere di tale elevata e delicata portata venga riservato in via esclusiva al capo dello Stato», mentre il ministro sarà pure titolare di poteri istruttori, ma questi «non possono che concludersi, al più, con una valutazione». Insomma, Castelli non può dire di no. Ma il giorno successivo, il 15 giugno, il ministro ribatte che «il ricorso alla Consulta potrebbe avere effetti devastanti, avremo un Capo dello Stato con poteri enormi».
La bolla si sgonfia ieri. Mentre scadono i termini per comunicare alla cancelleria della Consulta la costituzione in giudizio, Roberto Castelli svolta. «Non cè alcuna volontà di scontro». «Costituirsi in giudizio - precisa infatti il ministro - avrebbe significato che da parte mia esiste la volontà di difendere il potere di veto del Guardasigilli, dando uninterpretazione restrittiva dellarticolo 89 della Costituzione. Ma così non è. Io desidero semplicemente che sia chiaro, una volta per tutte, se prevale larticolo 87, che concede il potere di grazia al presidente della Repubblica, oppure no». Una frenata che, se non intacca la sostanza del ricorso (un parere la Corte lo esprimerà comunque), almeno svelenisce il clima. Il recente «travaglio» di Castelli sulla questione della grazia a Sofri, ricoverato allospedale Santa Chiara di Pisa dopo la rottura dellesofago, aveva riaperto vecchie ferite. Si era preso qualche giorno, il ministro, per «riesaminare il caso». Poi la partita della clemenza per lex leader di Lc si era chiusa così comera prima di aprirsi. «Concluso lesame del fascicolo relativo al detenuto Adriano Sofri \, il ministro ha deciso di non avanzare la proposta di grazia in quanto non sussistono tutte le condizioni richieste». Ora non resta che il verdetto della Consulta.
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